domenica 25 dicembre 2022

STRAIGHT OPPOSITION Path of separation (cd 2022 Time to Kill)

 


Fedeli al motto Educate your mind, tornano gli indomiti abruzzesi che si ri-lanciano a capofitto nell'impresa grazie alla Time to Kill, marchio del ritorno ad un lustro dal precedente The Fury from the Coast. Li accompagna sempre quell'aspra vena specchio del loro essere, offrendo una visione d'insieme che tra testi e musica ingaggiano un massiccio corpo a corpo nelle 13 veloci e compatte fiondate, devote all'old school metallizzato made in NY sull'asse dei più violenti Agnostic Front / Sick of it All / Madball (con qualche azzeccata incursione fuori area, come vedremo), infilando però quel sentire proprio che li smarca dalla ripetizione schematica.

L'incedere furente e cupo rappresenta la caratteristica comune dell'album: si attacca subito con l'assalto all'arma bianca della doppietta Outsider by choice / July 019; si picchia duro con Workstation-Dead box, proseguendo nella mattanza di The next revolution e Delusion of Omnipotence (dal sofferto passo), puntate col sangue agli occhi come in (She's still) Pro choice, Persona (a cui presta voce Davide Shores of Null/Zippo), The secrets of your militance e l'inno No age to xclaim!, mentre si cambia marcia con l'atipica Path of separation, che non è fuorviante dire rifarsi alla scuola alternative/noise 90's (seppur corrosa dal sentimento HC), come si rasenta il death metal nella tumultuosa From the cradle to the grave, con le presenze di Christian Montagna (The Old Blood), Fiore (Fulci) e T.t.K. mastermind Enrico Giannone, sino alla poderosa cadenza della conclusiva No Father's flag.

Sporadici gli appoggi melodici (più che altro vocali, qua e là), break gonfia tensione e ripartenza a iosa, dall'attitudine protesa a mostrare gli acuminati artigli con un notevole impatto frontale, senza che questo mortifichi la fresca scorrevolezza, talvolta latitante in un filone come quello in cui operano. 

Ivan con la sua voce a perdifiato -pura lana vetro- ma intellegibile, chitarra a sferragliare con impeto e sezione ritmica a muraglia precisa nel dare la giusta rapi(dissim)a spinta ai pezzi, stipati in 29 implacabili minuti da ascoltare senza moderazione. 

Un disco intelligente e passionale, coerente con la loro storia, questo della compagine pescarese, che continua a dare tutto negli infuocati live set, rimettendoli back on the map nell'attuale panorama HC, aumentando se possibile il peso specifico direttamente sul campo, italiano ed europeo.

Non è affatto la visione degli incattiviti dalla vita, ma al contrario, prerogativa di chi ritiene centrale l'umanità senza sconti nè demeriti, che si pone l'obiettivo di concretizzare la logica del passo avanti in termini di rapporti, personali e sociali (anche a costo di di scontentare il vicinato), inequivocabili nel proprio serrato punto di vista, che diventa rivendicazione politica. Questo è l'HC, prendere o lasciare, intrepida filosofia pratica che da sempre anima i nostri. I see red: no age to xclaim! E con un monicker del genere, vi aspettavate altro?


straightopposition.bandcamp.com



sabato 24 dicembre 2022

INGANNO Vite a meta' (cd 2022)

 


E' decisamente un buon momento per l'HC/punk pugliese, già dimostrato con i dischi del 2021 a firma SFC e Sud Disorder, confermato in questo 2022 con i baresi Antidigos, gli A.M.P. e due nuovi esordi, targati Carne e questo che vado a presentarvi siglato dagli INGANNO, in piedi dal 2014, i quali dopo una infinita gestazione finalmente rilasciano il loro primogenito lungo, con l'aiuto di diverse realtà del nostro underground diy (L'Oltraggio/Dischi Rozzi/Equal Rights Forlì/Peretta-core/Disastro/DIY Conspiracy Bari HC/Freak ink Bari/Poison Hearts).

I quattro mettono in moto un solido subbuglio di note e accordi che smuove a dovere fornendo il giusto propellente alle liriche proposte, dove si incrociano speranze e delusioni, irriverenza, rabbia e sentimento altruista, che solo chi ha abbracciato la vita dalla prospettiva abituata ad entrare negli argomenti affrontati, riconosce come basilari per dare l'innesco allo slancio libertario quale è Vite a metà.

13 concisi brani di aggressivo HC/punk alla ionica, che non disdegna talvolta vibrazioni più emotive (ma non emo, ok?), con grinta e sicurezza adeguata, memore di tanti anni di ascolti e applicazione diretta. E' un continuo sputar fuori tutto il veleno accumulato prima che affoghi irreparabilmente i sogni, proprio quei sogni che ci hanno tenuto vivi e coscienti, facendoci capire che un'altra vita era, é possibile. E proprio guardando in faccia la realtà con quell'acume che diventa -anche- necessità, rimarcano la propria identità anticonformista sin dalla posizione tranchant che introduce l'album, a servire lo scatto d'ira de Il mio tempo, come ci si dimena con Il mostro, Circondato, e nelle agitate acque di altri ordigni ben congeniati quali Sospeso e la movimentata title-track.

A immagine e somiglianza impreziosita dalla scatenata voce di Federica (dei LUDD) è il pezzo immersivo del disco (che gira a ripetizione nel mio lettore da un pò), una gran tirata con quella profonda melodia ed un sapiente dosaggio degli elementi da farne un pezzo da ricordare, così come la feroce disamina di Ritrovarsi, confessione di chi non vuole arrendersi anche quando sembra non ci siano speranze, o la riflessione collerica di 2020, che si fa disperatamente viva nell'outro finale. Le rappate-core (con l'ottimo intervento del duo hip hop RAK SHAZA) L'inganno dei Sensi e la cangiante Un salto nel vuoto invece diversificano le dinamiche esaltando nella costruzione la vena più dura dei nostri, che la potente registrazione lavorata dal chitarrista Diego nel suo HC Lab studio centra egregiamente, in una maniera che, dritto per dritto, porta a casa pallone e risultato.

Un autentico turbinio insurrezionale HC, questo urla il disco, a rinnovare quel patto di fiducia con chi si pone sulle stesse, irregolari frequenze. Provare a forzare, se non rompere, gli argini che tarlano la vita, per viverla appieno. Come diceva la Crime Gang Bang nel 1988: Noi resteremo la vostra cattiva coscienza


inganno.bandcamp.com

martedì 6 dicembre 2022

CARNE Saremo ancora minaccia (lp/cd 2022)

 


Lo scritto che trovate di seguito doveva essere allegato alle copie del lp/cd in questione, omesso poi purtroppo per problemi di spazio. In accordo con la band, eccolo qui come intro alla recensione.

Questi anni...Dentro di noi (marzo 2021)

Conosco Luca da oltre 25 anni, tra noi c'è una stima reciproca che va ben oltre il piano musicale, abbracciando sicuramente gusti e amicizie in comune, una certa attitudine condivisa e sbattimenti sul campo (anche minato, come può succedere talvolta al Sud...), sempre votati a tenere viva la fiamma che alimenta ciò che entrambi continuiamo a definire, ostinatamente, scena HC. In pieno lockdown 2020, parlando proprio di questo, mi chiese di intervenire con una riflessione a tema sul pensiero/azione antagonista ai giorni nostri -alla luce del mio bazzicare nel circuito da oltre 30 anni-, gentile invito prontamente raccolto e rinnovato con la partecipazione alla cospirazione d.i.y. che ha permesso l'uscita del vinile/cd che avete sottomano, a firma CARNE. Con l'augurio che queste parole siano da sprono più che un lungo amarcord.

Allora, ragionandoci oggi, con i macro cambiamenti di impostazioni del quotidiano sospeso che ci sono stati (col blocco, si spera passeggero, di situazioni e concerti, fiere, happening e socialità al bando) e che si preannuncia per diversi altri mesi, e non sapendo ove ci condurrà, ci siamo ritrovati a dire A che punto siamo?, se non proprio Abbiamo vinto oppure abbiamo perso? Senza stilare bilanci, mi sento di affermare che abbiamo vissuto ciò in cui credevamo, credo e faccio ancora oggi. E se tante cose non sono andate come volevamo, altre magari ce le siamo fatte a modo nostro provando a costruire IL nostro mondo, il proprio universo ideale (più da mutuo soccorso, se mi passate il termine) singolarmente e in comune, nel contesto lavorativo, nella propria intimità famigliare, in quell'impianto connettivo che definiamo società, incoraggiandoci nell'essere il più possibile attivi ed indipendenti, scegliendo a viso aperto da quale parte stare e attenti a non subire ciecamente ciò che si aspettava il giudicante establishment adulto (“Finora avete giocato, ora testa a posto e tutti in riga”), ad indicarci per inerzia e conservazione la via migliore offertaci dalla civiltà dei consumi. Sì, sporcarsi le mani senza paura se lo si ritiene giusto e con tutte le contraddizioni che potrebbe comportare, senza timori ad usare talvolta il mi interessa, senza per questo tralasciare -quando ci vuole- il ben noto fuck off, insito nel nostro spregevole animo! Un'altra chiave di lettura dell'individuo e dell'esistente, che rifiuta la logica del produci-consuma-sfrutta-crepa... Quantomeno proviamo a farlo.

Personalmente, ho visto la luce punk nel 1984 grazie a Sex Pistols e Clash, ed in seguito nel 1987, con l'HC italiano, l'universo dell'autoproduzione/autogestione, scoperta che stimolò la mia vorace curiosità, alimentando ulteriormente legami e coinvolgimento anche nell'approfondire tematiche e concetti fino ad allora sconosciuti o trattati superficialmente, in un processo attivo d'acquisizione di consapevolezza. Una rivoluzione non solo musicale ma contro-culturale (visto lo sconfinamento in aree extra-artistiche, con tesi e revisioni che inglobano aspetti legati all'economia, al sociale, alla politica), più che accademica direi basata su un'urgenza istintuale, attuata inizialmente da un manipolo di inquieti, sensibili agitatori disobbedienti sparsi ovunque ma con ben chiaro in testa l'approccio g-local, tramite l'ausilio di dischi e preziosi veicoli decodificatori quali volantini, allegati cartacei ai vinili, libri ed opuscoli, ma anche iniziative di contro/altra informazione, concerti, centri sociali, fanzines, che funsero da fertilizzante e megafono delle istanze trattate. Fatti e parole che esprimevano una diversa concezione della vita, che mi spalancarono un intero movimento sommerso (animalismo e vegetarianesimo/veganismo -tanto da diventare vegetariano nel 1992-, antimilitarismo, antirazzismo, lotta all'emarginazione e alle droghe pesanti, anarchismo, femminismo e disparità di genere, salvaguardia ambientale, spesa critica e boicottaggio), facendomi deporre quel senso -già vacillante- di supremazia specista, smuovendo l'intelletto per riuscire a capire e capirmi meglio, scavando per definire quanto giaceva nascosto o non ancora a fuoco nel mio gulliver neo-maggiorenne. Quelle scintille contro! che si trasformeranno in indomito fuoco passionale, instillandomi la coscienza antagonista in tutta la sua vastità di applicazione resistenziale, contribuendo a formare fattivamente la mia persona pensante. La mia scuola di insegnamento reale, e da ciò partirò a discorrere. 

Il do it yourself è la linfa vitale del punk, che nel suo naturale dna di base, incorpora uno stile di vita e non una faccenda music only; quello è solo esercizio di stile musicale punk/HC (parafrasando i PropaGandhi Punk for sustainable capitalism). Il diy e' collaborazione, inclusivo senza divisioni e ruoli prestabiliti, l'essenza della persona che viene fuori esprimendosi con quello che ha, quanto e come vuole portare liberamente avanti per realizzare il suo profondo desiderio creativo e le mille idee che frullano in testa; diffondere l'antitesi del concetto di marketing e clausole contrattualfiscali... Teniamo presente che è la controparte (lo dico, con convinzione: il sistema) che vuole la completa omologazione dell'individuo sotto la vile legge performante del dio-denaro, svalutando qualsiasi cosa metta in discussione l'apparato: qui la grande sveglia che diventa lezione di vita, che semplifico nominandola attitudine diy-punk, ci ha reso più umani in un mondo che spesso sembra popolato da zombies pacificati da consumismo e cultura da pensiero unico fast-food. Metterci in gioco da quando ci si alza a quando si va a letto, ognuno con i suoi metodi e principi, lanciando segnali d'interferenza e input volti ad inceppare -col sogno di distruggere- la macchina regolatrice, sempre pronta ad avvelenarci dentro e fuori, nel continuo presente.

Ecco perchè insisto nel ribadire che diy-punk-HC sono ancora sinonimi di lotta comune, un concreto progetto politico esistenziale -a traino sociale- dal basso, altro che slogans! Ma allora se parliamo di "fai-da-te" dovremmo arrivare a farci l'orto provvedendo a tutta la nostra sussistenza o isolarci per non continuare ad oliare l'annichilente meccanismo contro cui ci scagliamo? Non necessariamente: e' una questione di atteggiamento mentale auto/critico innanzitutto, che abbisogna, sempre, di messa in opera che tenga conto delle reali esigenze della persona che guarda e tiene conto dell'insieme, connessioni che possono incidere costantemente nella propria responsabile gestione, senza intenti moralizzatori nè concorso in sensi di colpa, ma su principi etici. Insomma, attuare quella consapevolezza scardinatrice che dovrebbe appartenerci, che ha fatto sì mettessimo in pratica il nostro urlato coro stonato davanti all'accettazione passiva di ogni nefandezza. 

Mette quindi tristezza quando vedo il discorso bloccato nel suo immobilismo cioè confinato alla sola sfera musicale, preciso contesto nel quale ci si professa coerenti al limite dell'intransigenza, tralasciando però gli altri campi del quotidiano, differendo da quanto si dice di professare 25 ore al di', che non aggiunge alcun contributo alla causa, anzi, risulta deleterio quando diventa il fine per passare il tempo libero (ma non liberato), col risultato però di prendersi per il culo da soli. Ora, la rivoluzione non si fa scrivendo solo canzoni, ma queste possono risultare utilissime per propagandare idee, sostenere una sentita causa, punti di vista e sfumature differenti, riflessioni e/o analisi critiche, messaggi potenzialmente propedeutici ad un reale cambiamento personale, cioè la base di ogni mutamento sociale.

Il punk-HC, fermo restando la poderosa spinta giovanilistica che lo anima, non è il giocattolo della giovinezza che passata si butta o una valvola di sfogo per scaricare nervosismi accumulati come un sedativo per poi stare tranquillo agli ordini del capo, ma un efficace strumento, l'arma -continuamente aggiornata- che spinga a ribellarsi al tossico status quo e che continui a cibare il pensiero-contro per ricercare, coltivare, costruire l'inversione di tendenza e/o generare percorsi di vita alternativi. Chiedersi il perchè pensando con la propria testa, chiedendo risposte in primis a noi stessi più che a qualcuno, decidere da sè ciò che è giusto o sbagliato; lo sforzo del singolo è fondamentale nelle dinamiche evolutive, foss'anche per la stessa e sola persona...e lo dico per ribadirlo principalmente a me medesimo.

Più che cambiare si invecchia, il pensiero si evolve, le esigenze si modificano, ma vi assicuro che le fondamenta del proprio elaborato sono sempre lì intatte, se non rafforzate dall'esperienza.

Diffidate sempre dagli oracoli, coloro che pensano di essere gli eletti depositari della verità e/o purezza assoluta (che non esiste). Chi pensa, dall'alto del suo mediocre piedistallo, di aver capito tutto mentre gli altri una beata mazza, e' pregato di andare a farsi fottere. 

Pensate ci si faccia troppe seghe mentali? Che siamo troppo col culo a terra per fare gli onesti incorruttibili? Che godiamo a vessarci ulteriormente, già con le nostre vite mediamente incasinate? Può darsi, ma quando si sceglie una direzione ostinata e contraria...Magari siamo esseri inadeguati ma senza complessi d'inferiorità, fragili, ma di quella fragilità coriacemente testarda che davvero segna il nostro essere, senza grandi speranze ma mai rassegnati. Realisti ma non abbandonati alla disperazione, disillusi di sicuro ma nonostante tutto ancora sognatori, considerati dei buoni a nulla ma capaci di tutto... E con questa predisposizione che noi, ragazzi prima-ora adulti con tutti i pregi e difetti, continuiamo l'irregolare semina, al fianco delle nuove leve a provocare e diffondere modesti ma sempre utili anticorpi che facciano germogliare preziose piante infestanti per il pensiero borghese che tutto ignora, scavalca e distrugge per interesse. La nostra inguaribile allergia a subire un sistema di valori assurdo, che considera l'esistenza -di per sè precaria- sempre al ribasso, scatenando quella mattanza sociale che ci pone in rivolta permanente. Siamo solo una piccolissima minaccia al nulla che avanza, ma pur sempre una minaccia...

La musica è intrattenimento, evasione, un salvifico bene rifugio, ma ha pure quella forza capace di rischiarare gli animi e aprirci gli occhi e la mente, magari condividendo un percorso che sia anche di crescita umana, così centralizzante da avere un impatto migliorativo sulle nostre esistenze. Siamo -anche- quello che facciamo, ognuno impegnato a sbarcare il lunario come può, a cercare il nostro posto in quel gran teatro che è la vita. Tante piccole scelte possono fare grandi differenze: un album come questo ribadisce chiaramente l'intero concetto, ancora una volta. Sù la testa!                                                                                 ContRoberto Liuzzi


E ora due parole riguardo lo splendido esordio della band...

CARNE Saremo ancora minaccia (lp/cd 2022

L'Oltraggio records e Poison hearts, con Bari HC, Dischi Rozzi, Distruggi la Bassa/True Believers, Equal Rights, Mastice prods, Porrozine, Rumagna Sgroza e Terapia Intensiva)

E venne l'ora del tanto atteso debutto della creatura tarantina, nata da elementi provenienti da Hobophobic, SFC, Mass Execution e altre note compagini della zona.

Il miglioramento dal bel promo 2019 è esponenziale (quasi interamente ripreso, si confrontino le versioni dei brani), per quanto le direttive di partenza siano rimaste inalterate: quello che è cambiato è l'approccio, diventato più sicuro e armonico, tanto che il carattere dei pezzi ne risulta rafforzato (anche per merito di una registrazione ben calibrata, mirata a catturare l'energia dei live set), fattore che permette di assaporare tutta la forza coesiva sprigionata dai nostri, che esalta l'indubbia qualità della scrittura.

Il tono è franco, la musica si staglia superba tutt'uno con testi schietti e sanguigni che fanno della visione antagonista il proprio punto centrale, riassunti ottimamente in 12 compatti e trascinanti pezzi HC/punk, dalla costruzione tutt'altro che lineare (anche nel registro melodico), pregne come sono di stacchi e variazioni che ben bilanciano vecchi sapori e nuove istanze. La vocazione all'anthem c'è tutta, espressa brillantemente nell'opener che titola il disco, che da subito incendia il racconto dell'album (già vista sottopalco in accompagnamento collettivo), così come si presta l'intensa Divorami, e gravide di rabbia -ma senza pregiudicare una avvincente musicalità- risultano quei classici a nome Freddo, Amore selvaggio e Polvere, la toccante A due passi dal mare, l'invito all'azione di Le parole non bastano e la sveglia che auspica Ti auguro paure, con la fisicità istintiva che fa tirare i pugni in aria come vi ritroverete a fare al cospetto delle più variegate Senza prezzo e infamia, Mentre tutto se ne va e E tu ci sei sempre, espresse con quell'ardore che di sicuro lascia traccia ad ogni ascolto. 

E' un disco corale, nell'accezione completa del termine, che va ben oltre l'aspetto musicale pur partendo da esso: qui si incrocia e fonde la visione della band con le aspettative, la volontà di creare e sostenere percorsi che siano da stimolo e diffusione di quel senso di comunità diy del circondario affine a loro -e a noi- più vicino (a partire dalla Rozza Crew), connesso e riunito attraverso l'onda scompigliatrice HC/punk, nel riprendersi spazi e tempo per crescere e esistere. Più che vessillo da innalzare per dimostrare la propria militanza HC, la testimonianza vissuta di cosa significhi vivere l'HC.

Ad impreziosire il tutto, la notevole cura per i dettagli (vinile colorato, adesivi), dal multicolore artwork di Dartworks al booklet con testi italiano/inglese riportati, ottimamente assemblato da mr. Porro Dario Ursino. Sangue, nervi, sudore, sogni, ferite, delusioni, riscatto... Una esperienza epidermica.

Un'altra bellissima pagina che va ad aggiornare ed infoltire il contingente ionico, ora più forte che mai!

carnehardcore@gmail.com - carnehardcore.bandcamp.com




mercoledì 12 ottobre 2022

NOT MOVING L.T.D. Love beat (lp/cd Area Pirata - 2022)

 


Colpaccio dell'intraprendente Area Pirata, già intestaria di alcune ristampe della banda, che si assicura, dopo il bel comeback Lady wine (7"ep 2019), anche la nuova incisione della storica alleanza piacentina/pisana, che ogni appassionato delle cronache musicali ricorda come punte centrali del nostro attacco underground. La loro mission ha attraversato tutti gli anni '80, solcati alla grande con svariati dischi (per Electric Eye e Spittle), rimasti nella memoria in tutti coloro che hanno avuto la possibilità di ascoltarli e meglio ancora vederli live, fama che ha alimentato il culto negli anni a venire (provate Live in the 80's, originariamente uscito in cd+dvd, ristampato nel 2021 in vinile + dvd scaricabile, via Go Down rec, il resto della discografia la trovate ancora in giro, tramite le ristampe della Audioglobe e Spit/Fire).

Lilith, Tony F., Dome La Muerte, Dany D., Maria Severine = NOT MOVING = Rock'n roll suonato e vissuto. Già si aveva chiara dalla loro immagine che non era una storia fatta solo di suoni, ma una questione più viscerale, sfogata secondo la loro wild attitude (con la lotta di resistenza indiana Usa nel cuore). Uno sporco frullato di punk, garage '60, concessioni surf, rock'n'roll indiavolato, blues dalle oscure cripte che si imparentava con una idea di dark, (neo)psichedelia illegale, sulle stesse frequenze di -coevi- partners in crime d'oltreoceano come Gun Club, tra i primi a maneggiare quell'impasto che riscopriva il roots americano rivoltandolo e dandone il proprio marchio alterato aggiornato dalla lezione punk; la scheletrica, debosciata marcia degli allucinati becchini Cramps e la disperata epica dal fulgore vitale degli X. Gioco pericoloso, specie quando si cerca di proporre la propria versione della diabolica summa, per il rischio di essere sminuiti se non affossati come fotocopie dei suddetti, spesso per il solo fatto di provenire dai margini dell'Impero, noto handicap di partenza (e fonte di ottuso pregiudizio)... Ma qui vien fuori il carattere, la forte personalità e quella sicurezza in se stessi e nelle proprie idee che si riversa nel percorso: così ci siamo accorti che l'amalgama si distingueva da quegli illustri colleghi, collegate vero da un possibile background in comune tradotto in sintesi punk (a cui aggiungiamo pure l'HC, con cui si faranno le ossa sia Dome con i primi C.C.M., che Tony, con i Chelsea Hotel), pacchetto a cui prenderanno l'anima risputandola fuori rivisitata con segno e sguardo incendiario proprio (con il santino degli Stones, quelli più bruti e sgraziati, e la geniale sregolatezza degli Stooges a maledire ulteriormente il tutto).

Una band dalla natura non imbrigliabile, troppo per accattivarsi le simpatie dei piani alti della discografia nazionale, ma non quelle di una affezionata schiera di HC/punx, dark, beat-garage-rockers e tutta la fauna del circondario rock underground che costituiva difatti il loro trasversale pubblico di riferimento, anche in Europa, dove più volte si sono recati a scombinare le serate, bombardando gli intervenuti con tutto il ricco arsenale black & wild in dotazione.

Quello che poteva essere il disco della carriera, Sinnermen, divenne per colpa di qualcuno -con una sconsiderata pratica- quasi una pietra al collo della stessa, pur rimanendo un gran disco. Misteri del più stolto, improvvisato marketing casalingo...Da quel fatidico 1986, proseguiranno per qualche altro disco per poi ammainare la bandiera sulla storia condivisa, dopo l'altrettanto vigoroso album Flash on You, nel 1988 (il bassista Danilo aveva già lasciato). 

Dome lo si troverà sempre in giro a sfornare qualche altro passo con la sigla (sempre con Maria Severine e altri componenti), poi da solo o in compagnia dei suoi scatenati Diggers alternati a DJ set, Rita/Lilith in solitaria e alla guida dei SinnerSaints riparte dalla canzone d'autore dalle tinte più acustiche e fumose degna delle migliori (e più credibili) chanteuses, accompagnata sempre dal coniuge Antonio Bacciocchi, che tra bacchette anche per Link Quartet, Tony Face Big Roll Band, Face records e penna scrivente non è mai stato fermo... potrei continuare ancora per molto, ma Love Beat mi consente di riprendere il discorso al presente, dato il cammino ritrovato in comune a seguito di legami riallacciati nel corso del nuovo millennio, tanto da spingerli a comporre nuovo materiale.

Lo spirito piu' vizioso del rock'n'roll alberga sempre nel redivivo nucleo, anche a 34 anni di distanza ben riconoscibile, come potrete constatare dall'ascolto degli 8 originali piu' la bella cover di Primitive a firma The Groupies, che segnano questo loro fascinoso rientro lungo. Come suona? Meno sconquassi ed impeto ma piu' penetrante la versione 2.0 della band: r'n'r dalla fuliggine blues (con l'immancabile sottoveste garage), scollacciato ma con maggiore grazia nell'esposizione, sottilmente velenoso seppur in maniera diversa (manca la tastiera, all'epoca parte integrante del suono). Suona nostalgico nella misura che rimane fedele alle proprie influenze, ma al contempo immette nel blend le variegate esperienze intercorse da quell'ultra trentennale dì, esemplificata dalla voce di Lilith (sposami!), più baritonale e meno selvaggia, che accresce ulteriormente il suo magnetismo (e che rimane sempre la conturbante creatura che esaltava il suono della band con la sua presenza scenica... e con tutto il punkcharme ancora intatto, come ho avuto modo di saggiare lo scorso luglio alla Limonaia in Sesto Fiorentino, dove hanno offerto una gran prova), Dome sempre sul pezzo a sfoderare il giusto riff o accordo, a punteggiare, rifinire il tutto, e duettare/bissare Lilith e Iride quando occorre, depositario di quel sanguigno credo r'n'r che diventa una faccenda di vita o morte (me lo immagino a strimpellare scolandosi qualcosa con Keith Richards e Andy McCoy, magari ricordando Johnny Thunders), il potente metronomo con anima e feeling, completo nella sua ruvida essenzialita' qual e' il modfather Tony Face (credetemi, è lui il vero rimpiazzo del compianto Charlie Watts), con l'innesto della seconda chitarra -e voce in terza- padroneggiata con cura dalla giovane Iride, gia' con Dome nei Diggers, che apporta l'upgrade di nuova energia ai Not Moving L.T.D.+I (sì, non c'e' il basso).

I quattro si divertono a rolleggiare in lungo ed in largo, attraenti sin dall'iniziale Deep Eyes (handclaps richiesti!) che spiana la strada con quel suo torrido incedere Stonesiano, rimarcata dalla carica della sveltina punk Dirty time e dal battente ritmo di Don't give up con le voci a unirsi, la focosa cavalcata rock Goin' for a ride, al caracollante passo di Love beat, che si insinua strisciante con quel gran refrain che entra con fare suadente in circolo; Rubbish land sa di polverose highways notturne dirette verso il nulla, si suda con Down she goes che si smarca invadendo vibra(n)ti territori '70 ad accendere i piu' rovinosi sensi, sino all'epilogo segnato dalla minacciosa Red Line, che riprendendo gli accordi di Goin'... con sola voce e chitarra, avverte che siamo a fine giro ma non ci dà nemmeno il tempo di assaporarla data la sua durata...breve ma appagante, come un bel bacio di arrivederci.

Il risultato e' stato molto apprezzato in giro, tanto che il disco e' già stato oggetto di ristampa in entrambi i formati, dimostrazione che stima e supporto non sono venuti meno, riuscendo ad andare oltre l'effetto nostalgia, e le prove live magari hanno fatto il resto, conquistando nuovi -altrettanto entusiasti- adepti.

No, non sono tornati per riprendersi quanto era stato loro negato, per mille motivi, nel periodo del loro massimo splendore, il mondo purtroppo non funziona così, specie quando hai sempre avuto poco da spartire con i meccanismi del circo mainstream. Un rientro senza fanfare, che non vuole richiamare i passati anni di gioventu' nè vivacchiare sulla musica, ma concedersi una nuova chance (fosse anche l'ultima), senza aspettarsi nulla in cambio, se non voglia di viverla sta cazzo di vita, alla faccia della saggezza che molti imporrebbero per presunti limiti anagrafici.

Qui ci sono intere esistenze intrise di passione, altro che messa in scena...

Un consiglio: completate l'ascolto con le due biografie Uscito vivo dagli anni ottanta di Tony Face e Dalla parte del torto del Dome. Avrete più chiaro tutto quanto.

www.areapirata.com





mercoledì 20 luglio 2022

Gli ULTIMI Sine Metu (lp/cd Time to Kill/Hellnation rec. 2021)

 


"C'è un tempo per andare dritti giù all'inferno/ c'è un tempo per tornare a saldare il conto... C'è un tempo per pensare di farla finita / c'è un tempo per tentare di riprenderci la vita / Giorni miei/ Sono giorni e giorni, giorni miei...(Giorni, The Gang 1997)

Addentriamoci nel mondo narrato dai 4 punx, ritornati in pista dopo la defezione nel 2019 di Path (che ha dato il via ad un cammino musicale in solitario), rimpiazzato dal nuovo bassista Alessandro Carpani, che debutta direttamente su questo Sine Metu, quinta arrembante prova sulla lunga distanza, confezionata egregiamente dalle super attive Time to kill e Hellnation.

Ho avuto una forte infatuazione per gli Ultimi con l'album Tre volte dieci del 2017, 10 canzoni in 38 minuti una più bella dell'altra, tutto viscere e cuore sullo stesso piano. Un pieno di umanità, con tutti i suoi pregi e difetti. Punk che si intinge, talvolta, nel rock, con inflessioni cantautorali in grado di far breccia anche nei palati più curiosi. La stessa, meravigliosa sorpresa che mi procurò il primo ascolto dei bolognesi Stab, con cui scorgo diverse similitudini: pezzi che si prestano ad essere cantati coralmente a squarciagola, che, replicati in acustico, non perderebbero nulla in termini di intensità e spontaneità, dalle melodie che ti si conficcano in mente, ulteriormente esaltate da parole che mordono la vita e a lungo rimangono impresse, con quell'irruente abbraccio che emanano. Un disco bellissimo, appassionante; uno dei cardini degli anni 10 street punk italiani, nuovamente disponibile tramite la provvidenziale ristampa Hellnation.


E qualche cosa rimane ancora
Quando la vita bombarda a tappeto
Giorni pesanti come giganti
Dovremmo esserci ma siamo distanti
E ce l'ho ancora un verso nel cuore
Per chi ha rubato un po' del mio dolore...

Ma che cosa rimane poi
Delle promesse e gli abbracci tra noi
Se diventiamo come i nostri vecchi
Lavoro amici e pugni allo specchio

Con queste aspettative, l'attesa era tanta da parte del sottoscritto...A giudicare dai nuovi 11 pezzi (più reprise), cosa dire? Bis signori, un altro disco da 10. Rinvigorito lo spessore del suono, merito di una registrazione bella tesa e grintosa, ritorniamo ad immergerci in brani caparbi e come sempre capaci di far scorrere i brividi gia' provati nel recente passato, che andranno ad infoltire la, ormai nutrita, sequela di classici della band.

Sì, la loro ruvidezza romantica dotata di sentimento popolare non lascia indifferenti, nel riconoscersi sulle note dell'audace rivendicazione di Pane e Rose (urlata da Birmingham a Taranto, Ken Loach approverebbe), il guizzo scattante dell'opener Un battito ancora, l'energia HC della trascinante Tutto Sbagliato e Slot machine, la ferma fotografia ricordo di Lanfranco (con una ruggente armonica in evidenza), la briosa carica di Maledetta Domenica e Giovani per sempre, proseguendo con l'emozionante Favole (cercate nel web il simpatico video animato realizzato grazie all'amico Michele Zero Calcare Rech) a fare coppia con il trasporto emotivo di Rimane una canzone (nata acustica ma qui elettrificata, struggente atto d'amore in memoria dell'indimenticato Angelo Sigaro Conti), l'intensa ballata punk Passera', o quel contagioso pezzo in levare titolato La mia Banda, con azzeccata coloritura di piano e hammond (da maestri, sicuro avrebbe fatto la sua figura in Life won't wait dei Rancid), tra reminiscenze Banda Bassotti e Klaxon (ma io ci sento qualcosa, seppur alla lontana, dei più epici Social Distortion), indubbie influenze di partenza per sviluppare un valido discorso in proprio, quale quello ora pienamente in essere.

L'essenza comunitaria della borgata, ma anche quel nudo e crudo microcosmo creato dai legami del vivere punk che diventa a suo modo famiglia di appartenenza, come occhio e riferimento del mondo-sul mondo, ambienti sommersi ma adatti per sviscerarlo nella sua complessità. Piccole storie (da un posto qualunque...) senza tempo ma dal senso universale, imbevute di quella socialita' che diventa humus per il terreno politico, familiare alla band capitolina, che guardandosi dentro trova la forza per sostenere la propria verita', da sbattere in faccia senza rimorsi e senza paura. Sì, perche' si puo' essere sconfitti ma non vinti; una poetica proletaria, quel disappunto che mescola ironia tagliente e amarezza, ma con una arrogante vitalita' liberatrice infusa anche dallo sbeffeggiamento stesso della disperazione (una sorta di disperata gioia, a ridare speranza e reclamare a gran voce la voglia di esserci, nonostante tutto), che paradossalmente ti risolleva quando gira tutto storto, tanto da sentire mancare la terra sotto i piedi.


Ma tu lo sai, che chi lotta non muore mai
e quando i nostri eroi se ne vanno, tocca a noi
Rimangono parole, più forti del dolore (Rimane una canzone)

Non una prova di ribellione giovanilistica, ma una decisa posizione che ancora fa sbattere i pugni, nel ribadire che siamo sempre quelli (dalla parte degli ultimi...perdonate il gioco di parole) che da 15 anni dicono-pensano-fanno, attivano il proprio no! davanti ad un mondo individualista in caduta libera, che oscilla sempre più tra il troppo e il niente. a cozzare con la loro visione che fa proprio dello stare con gli altri, del correre in mezzo alla vita la sua prerogativa.

Un disco, ancora una volta, musicalmente straripante, commovente nella sua sincerità da outsider, che si candida sin d'ora tra i capolavori italiani street-punk dell'attuale decade. 

Un suono che è fero ma anche piuma: da infatuazione ad amore vero e proprio. Gli Ultimi, inguaribili romantici.


Soli col mondo a puntarci alla gola, non una lacrima mai...
Sei tutto sbagliato, ma non cambierai
sei tutto sbagliato, ma non cambi mai!


www.timetokill-records.com
Hellnation (facebook)
Gli Ultimi (bandcamp)



martedì 21 giugno 2022

ARTURO Giorni lontani 1992-1998 (lp+cd FOAD rec. 2020)

 


La FOAD records/Scarey Store, è una etichetta e distro piemontese focalizzata sul recupero del sottobosco più nascosto dell'underground estremo internazionale, votata alla ricerca e valorizzazione di pepite sonore poco note (principalmente dal passato), passate in sordina nel marasma ultra sotterraneo e comunque di non facile reperibilità, se non addirittura mai approdate su supporto diverso dalla cassetta. Nata come extreme fanzine nel 1986 per opera dell'amico Marco Garripoli con 7 uscite fino al 1990, la sigla, dopo un accantonamento di diversi anni, rinasce propriamente come etichetta nel 2006, raggiungendo ad oggi circa 300 produzioni (mediamente tirate in 400/500 copie), che si pongono come proposte degne del miglior archeologo musicale (a fare il pari, in ambito punk/power pop, con la romana Rave Up rec).

Si va da gruppi le cui imprese si leggevano principalmente su fanzines periodo '80/'90, in quel territorio per cultori poco aggrazziato, spaziante dall'HC-punk al grind-noise core passando per il primigenio thrash/death metal, che vede protagonisti perlopiù unsung heroes, con un'ottica di movimento e collegamenti che richiamano anni e anni di eccitante immersione nell'universo tape trading, tanto riporta alla memoria quell'esperienza a chi, come il sottoscritto, l'ha praticata. Da fans per fans!

Da nomi blasonati quali Terrorizer, Crumbsuckers, S.O.D, Malevolent Creation, Ludichrist, spesso colti all'epoca dei primi passi della propria attività, ai misconosciuti Concrete Block (con l'ex vocione dei Woptime Saverio), gli esordienti Ed e Minkions, genuinamente ri/proposti con un occhio di riguardo sul versante sonoro, attraverso remasters da fonti originarie, con altrettanta attenzione alla grafiche, davvero curate come nel sogno del miglior fan delle band trattate, in alcuni casi superlativi (uno su tutti: il bellissimo box vinile Nerorgasmo). Aggiungiamo il preciso lavoro di riproposizione ufficiale della discografia dei Cripple Bastards (padroni di casa, visto il coinvolgimento diretto dello screamer Giulio nella faccenda), Raw Power, Bulldozer, Wehrmacht, Siege, Gammacide, Fear of God, ma anche diversi episodi a firma Ratos de Porao, Cryptic Slaughter, ancora Insect Warfare, Sigh, Attitude Adjustment, Discharge, Sore Throat, Lethal Aggression, Spazztic Blurr, a cui seguono, non meno importanti, gruppi italiani dell'epoca d'oro (accanto ad un certa predilizione per quelli giapponesi), che mettono ordine nel frastagliato mondo delle stampe/ristampe autoctone, diventando spesso e volentieri versioni definitive delle band prese in esame: citerei Peggio Punx, Crash Box, Declino, Upset Noise, Nerorgasmo, Underage, Stinky Rats, Blaxfema, primi Schizo, Jester Beast, Necrodeath, prevalentemente in vinile, infarciti di chicche inedite e live per golosastri dei gruppi menzionati. Già per questi titoli meritano l'endorsement eterno: imbattibili.

Tra queste, intravedo il lp riepilogativo degli ARTURO, occasione per parlarvi di questa grande band dalla Mole in tempesta, tra le mie preferite, con C.O.V. e Crunch, emerse dalla temibile nidiata HC-punk dei '90 cittadini (e non), che, ricordiamolo per i più piccini, strabordava di gruppi interessanti (oltre ai citati, Frammenti, Panico, Rotten Brains, Belli Cosi, Arsenico, Up to date, con El Paso ne centro nè sociale come punto d'incontro e base condivisa). Gruppi intenti a aggiornare la lezione della Motor city più selvaggia, tutti con dischi all'attivo e con la propria cifra stilistica, e tutti regolarmente consumati dai miei ascolti -specifici o random- che si susseguivano freneticamente all'epoca dei fattacci in questione.

Giorni lontani ripropone tutto il pubblicato sino al 1998: le due acrobatiche uscite in 7" Isterico e Topo volante e l'introvabile cd Ar-Core del 1995 per la francese Panx rec.(comprensivo del secondo demo Evi Metal sdregs), col piacevole bonus cd che incorpora l'ancor più datato primo demo 1993 e uno stringato live a marzo 1996 di spalla ai Cripple Bastards -la band estrema per eccellenza partorita in Italia-, band in cui allora prestava opera proprio la micidiale sezione ritmica di Stefano & Paolo (e Giulio ricambiava fornendo supporto in vari modi: growls e urla in alcuni pezzi dei 7" e coproduzione del secondo, vedi EU'91 prod.). Anche due covers presenti: 1974 dei Cripple's -dal tributo Falaffel grind-, e quella degli Smiths London, la vera intrusa, che sembra preannunciare la seconda fase Arturo (qui non trattata), con l'avvicendamento dello spiritato Alfo in favore di Gigio (ex C.O.V.), al microfono nel cd Conversazioni del 2001, un disco dove il loro HC si fa più ragionato e contaminato, meno veloce e più diversificato, con inaspettati inserimenti electro che ben si integrano nell'impianto, senza smarrire la consistenza che li ha sempre contraddistinti. 

Riassaporiamo così in un'unica mandata schegge di frantic hardcore (con in sottofondo uno humour che tende a sbracarsi), che fanno letteralmente i botti; furia compulsiva e liriche avverse al conformismo anestetizzante ("Cerca di capire invece di marcire", espresso nella terremotante Spazi Vuoti, per darne un'idea più centrata), davvero incontenibili in Pimpirepettenusa, Topo volante, Cervelli di Pongo, Isterico, Via da qui (chitarra Dead Kennedys con velocità DRI), più hardcore in senso classico come in Ancora e nel gran pezzo che da il titolo a questa raccolta, tra un'ode alla locomozione vissuta come esperienza totale (La Vespa) e due paroline dirette senza nascondere il destinatario quando decidono di comunicare il proprio punto di vista (Castellani, ACR), le sbandate all'ultimo sangue Vivere o morire, Attitudine punk, Dimmi cosa vuoi, Ics, 17 incubi... Insomma si spazza a dovere, con una certa competenza di strumenti e materia, ed un affiatamento al top.

Indicazioni sonore di massima? Prendete gli Impact di Attraverso l'Involucro (per me uno dei simboli dell'Italian HC style, dal quale riprendono l'immortale Non c'è pace per noi, come in un ideale passaggio di testimone), taroccate il loro contachilometri aumentandone la velocità, schizzate l'estro nell'esecuzione ed aggiungete l'immediatezza dei DRI di Dealing with It! Stop & go brucianti, scampoli di melodie spezzettate e assoggettate ai precisi, imprevedibili ritmi adottati, definiscono questo succulento impasto imbizzarrito, che renderanno super grazie alla prorompente modalità di proporlo, con l'onnipresente sentimento tutto TOHC a svettare.

E nonostante siano passati 25 anni, non hanno perso nulla di quella indiavolata carica che ce li ha fatti amare: 63 brani nati per essere veloci(ssimi) e ricostituenti, tanto fanno spurgare tossine accumulate... Semplicemente unici: bravissimo Arturo!

A corredo del vinile+cd, due allegati a colori con foto, artworks dei dischi e testi... 400 copie stampate; 100 in vinile celeste sold-out, altre 300 in vinile nero... sbrigatevi, per non piangere dopo!

www.foadrecords.com

www.scareystore.com


Ebbi anche la fortuna di vederli dal vivo proprio nella mia Puglia a fine 2001, e preparai un breve report delle serate per il mio bollettone Contro! Antagonismo Musikulturale, che doveva fare parte dell'annunciato n.20 in formato fanzine, uscita speciale per celebrare nel 2002 i dieci anni della creatura, mai andato in porto. Recupero per recupero, riportato di seguito come bonus, spero gradito.



ARTURO - 11+12 novembre 2001 Maizza (Fasano) + Go-kart occupato (TA):

E venne la prima anche degli Arturo in Puglia! Arrivati cotti in quel di Maizza dopo un estenuante volata TO-Fasano in 8 nel furgone, col pilota ufficiale della sconvolta truppa nonché factotum Sdrò. Finalmente conosco di persona l'amico corrispondente Marco "Scazzo" e gli altri della indomita torinanza. I convenuti -specie quelli più agitati, Grottaglie in buon numero-, cominciano a fantasticare come sarà il concerto: pronostici, un concerto pessimo è dato 1 a 400. Dopo una pasta gentilmente offerta dalla casa (e da urlo per la sua bontà) i nostri danno inizio alle danze. Beh, già su disco spaccano alla grande, ma dal vivo vi assicuro diventano letteralmente mostruosi, trascinati da quell'istrione che è Gigio, da molti già conosciuto per i suoi exploit come cantante dei miei amati COV, con salti e doti di indubbio catalizzatore di attenzioni (sul cazzeggio andante poi, realmente imbattibile). Grande atmosfera nella accogliente Maizza nonostante la poca gente intervenuta considerando che era domenica, ma quei fortunati sono stati colpiti e affondati dalla scaletta adoperata per non fare prigionieri dagli Arturi, con gli Hobophobic di spalla a scaldare ottimamente gli animi, col loro repertorio esiguo ma perfetto per mettere a proprio agio gli incalliti pogatori d'ordinanza.

La sera dopo invece, tanta gente, atmosfera diversa ma ugualmente strepitosa; insomma da un concerto quasi in famiglia -allargata- ad uno per tutti. Aprono i vicini Disagio, che volontà ne hanno a iosa ma necessitano ancora di un certo rodaggio per farsi apprezzare... scopro l’acqua calda dicendo che insistendo farà loro solo bene! Arturo da' l'ennesima prova di suonare con una facilità impressionante: il chitarrista a schizzare con i suoi giri, la sezione ritmica con non-chalance fa numeri da precisi funamboli che disarmano i presenti, al punto da indurre carovane di aspiranti musicisti locali ad abbandonare il proprio strumento perchè divenuto ingestibile dopo l'affronto appena subito...e Gigio è sempre lui, in forma e preso bene più che mai. Se c'è ancora qualcuno rimasto spiazzato o nutre qualche dubbio sul loro ultimo cd Conversazioni, dal vivo si ricrederà di brutto, tanto fanno alzare la polvere...Due concerti che valgono doppio: tra i migliori visti nel 2001!



N.I.A. PUNX 1989/2019 (Area Pirata/Mania Rec. 2019)

 


Tempo di compendio x i cosentini N(erds).I(n).A(cid). Punx! Il dischetto -a lunga durata- è uscito tre anni fà, ma sento l'esigenza di parlarne ora per almeno un paio di motivi: uno, perchè pongo il loro demo del 1991 nella mia personale top ten assoluta; due, perchè 300 sono le copie disponibili e prima che finiscano, mi piacerebbe li prendeste in considerazione come nome da appuntare... e, aggiungo, scoprire un gran bel gruppo, totalmente calato nell'attiva realtà della decade '90, dove li si poteva incrociare in qualche CSA dello stivale a spargere il proprio verbo.

Il demo The last crime of Amerika (Stimmate/Attacco Progressivo) del 1991 e l'album su Mister X/Attacco Progressivo Scendere a sud del 1993 (entrambi rappresentati al meglio), pezzi da compilations (marchiate Goodwill, Blu Bus e la Havin' a Laugh del Balestrino, per dirne alcune), eccellenti covers (su tutte No Eroina dei Bloody Riot) ed alcuni inediti costituiscono il loro lascito, 23 pezzi (più estratto live) principalmente cantati in inglese, qui raccolti e assemblati in un bel digipack dall'attenta label/distro pisana Area Pirata, con l'aiuto della Mania rec.

Forti di un attitudine fieramente combat, maturata anche attraverso impegno diretto in situazioni autogestite ed occupazioni (la band si divideva tra Cosenza, presenti al Gramna, e Perugia, ove alcuni erano andati a studiare, come ricordo dagli incontri con il cantante Giammarco, hi!!!), esperienze che danno un'identità forte e chiara ai testi (efficaci e netti, purtroppo non riportati, unica pecca del dischetto) ed a tutta la produzione dell'ensemble, in cui riversano le proprie influenze: dall'Oi-street punk più incisivo come In ginocchio mai! e Power Punk (tenete conto che da una costola della band si ebbero i Five Boots, marcatamente Oi! con all'attivo alcuni dischi), all'accorato urlo di Scendere a sud, l'esaltante Voice of Freedom (una piccola gemma, sanguigno rock con irruenza tutta punk in questo inno in crescendo, sulla falsariga di Troppo lontano dei Kina), continuando con le coinvolgenti The Party must go on, Sometimes, la saltellante Change Today, The suffering of children, belle tirate punk dagli indovinati cori e melodie (peraltro mai assenti), le staffilate core S.D.P. e No F16, First hate, Last sacrifice, le incursioni extra-genere come Wonderland (che, a dispetto del titolo, sembra la versione rallentata della cupa Dark Entries dei Bauhaus), il fervore elettro-acustico di When I'll pass the limit o il remembering completamente in acustico della conclusiva Set me free. Da notare il coinvolgimento alla batteria dell'amico Roby Vitari dei thrashers concittadini Headcrasher in buona parte dei brani (tocco che si nota ad esempio in Mr.Plane).

Il suono si muove agile e deciso grazie ad un approccio versatile (fermo restando predominante la base HC in quanto a solidità ed esecuzione), intraprendenza e sfida non mancano in simbiosi con una spiccata sensibilità d'animo, la potente combinazione perfetta per entrare nel cuore degli appassionati...e, vi assicuro, è sempre un bel sentire.

Sangue caldo e nervi d'acciaio, senza tralasciare la voglia di divertirsi...Come si diceva una volta, lotta dura senza paura: Power punk/HC sia!

Provate voi a vivere una vita

lottando ogni giorno e chiedetevi

Quale sia il prezzo della nostra

Libertà violata, sì la nostra

Libertà

Terra avvelenata da sangue

innocente, tradita, disillusa

Caro politicante...

Ci chiamano assassini, violenti,

malfattori, ma sanno bene chi sono i signori che siedono al governo

Squadristi mascherati,

alle poltrone saldamente attaccati

Ma...

Questa terra è avvelenata da sangue innocente

tradita disillusa, caro politicante...

SCENDERE A SUD

PARLARE CON IL CUORE

SCENDERE A SUD

VENITE GIU' A LOTTARE

E' IL MIO SCENDERE A SUD

martedì 1 marzo 2022

AMYL & The SNIFFERS Comfort to me (lp/cd Rough Trade 2021)

 


Secondo atteso disco per gli australiani, uno degli indie-hype del 2021, che dopo le buone impressioni suscitate dall'esordio lungo omonimo, si confermano sempre via Rough Trade con COMFORT TO ME, che aumenta e di molto le quotazioni e considerazioni poste sui quattro.

Più articolati ma senza stravolgere il proprio affiatato canone, puntellano a dovere senza fronzoli e con tanto carattere, grazie anche alla vulcanica Amy (esagitata nel video di Security, dove riesce a mantenere desta la nostra concentrazione sulla sua mimica gestuale, dando sfogo a tutto il suo campionario in solitaria per tutta la durata dell'irresistibile pezzo) che marchia indelebilmente col suo cantato/declamato le scalpitanti 13 tx. 

Dentro ci troviamo tutto il loro essenziale universo sonoro, che spazia e/o ingloba sgusciante punk-rock 77 (Freaks to the front, Capital), hardcore (Choices), crocevia hard-punk (Guided by Angels), accenni di sculettamento seppur da movenze scomposte (Hertz), rinforzate porzioni di aussie rock'n roll imparentato idealmente con il garage (la tagliente Don't need a cunt...), le più classiche -ma sottili- Knifey e Snakes, pezzi semplici e dagli efficaci ganci melodici, sporchi e puliti in un sol colpo, che non eccedono da una parte e nemmeno dall'altra, bilanciandosi in potenza e spontaneità, con un attitudine snotty che evita di strafare. Una band che guarda sì anche al passato, specie della loro terra (che ci riportano alla bella storia Radio Birdman, in No more Tears e Maggots, la chitarra della stessa Security) riorganizzando quel suono in chiave contemporanea, dotata di una vispa sensibilità pop, cioè che non si tira indietro davanti alle avances che stanno piovendo sul loro conto (pur senza ricercarle), in grado di far venire l'appetito anche al più smaliziato ascoltatore rock.

Un disco che gode di un concepimento, per quanto sofferto, più curato rispetto all'esordio, dove l'invadente energia elettrica non si è dispersa, anzi l'impianto risulta rafforzato in convinzione e consistenza, nonostante un approccio che vuol sembrare noncurante (o forse lo è davvero?).

Ecco, proprio questa scazzata attitudine mixata con approccio da garage band me li rende piu' vicini e stuzzicanti (sin dal mucchio gelatinoso che li fonde in copertina), riuscendo anche nel compito di aggirare le invettive di coloro che li ritengono unicamente un prodotto bell'e buono per la generazione millenials da Spotify single playlist. Personalmente non sono tra quelli che crocifiggono all'istante i gruppi che beneficiano di forti attenzioni mediatiche, poiche' rimane valido innanzitutto il concetto dell'ascolto attento e cio' che ne deriva, che forma poi il giudizio personale su quel disco. In virtu' di questo, ritengo nel complesso l'album soddisfacente: diverte e agita che e' un piacere, senza velleita' di cambiare il mondo ne' "aspirare" a cambiare la storia del genere, regalando una bella mezz'ora di sano, intelligente abbandono, che non dimentichiamolo ci vuole pure in questo contorto mondo!

Non hanno certo la carica politica tout-court dei Downtown Boys, con i quali mi piace intravedere pure una relazione sonora (che comunque non c'e'), ma i pungenti testi -di Amy- rivelano un'animo dalla forte personalità, che contesta la dicotomia preda/predatrice, dove centrale diventa la liberazione della persona e del suo modo d'essere (confusa e/o determinata che sia), con la fermezza di tirare dritto per la propria strada con tutto quello che ne consegue, piaccia o non piaccia.

Insomma a muso duro ma dall'animo aperto alla condivisione, senza preclusioni anzi ben felici di concedersi a quanti vorranno prenderne confidenza. It's only (punk) rock'n'roll but we like it!



DEAFHEAVEN Infinite Granite (2lp/cd Sargent House, 2021)

 


Amore a primo ascolto. Cosi è scoccato, istantaneo, il mio rapporto con i Deafheaven.

Parigi, 16 luglio 2018 pomeriggio: entro in uno dei tanti mega store Fnac sparsi nella capitale, a Montparnasse. Subito parto a scavare nell'ottimo assortimento cd e vinile presente, mentre in sottofondo scorre in heavy rotation un disco appena pubblicato, caldamente consigliato come album della settimana. Scorrono i dischi sottomano, anche con una certa velocità (svariati anni di allenamento...), e scorre ancor più il disco, sempre più avvincente. Comincio ad invaghirmi, al punto che vado a chiedere al commesso in postazione chi sono: ”It's the new Deafheaven album, on Anti records”. Li conosco giust'appena di nome e distrattamente, fuorviato da quanto letto in passato, tacciati di essere un gruppo buono per gli hipster...Continuo a pensare a cosa acquistare, altri 20 minuti e siamo a 3/4 dell'album...Sono catturato letteralmente dalle note che si diffondono nel reparto, tanto da ritornare dal solito commesso ad approfondire la questione: ”Incredibile...black metal with melodies indie or shoegaze!”, sfuriate black metal ma dalle nitide melodie, pure troppo per un gruppo associato a quel genere. Lui cortesemente e senza scomporsi, con entusiasmo controllato, ribatte “Yeah, is a BLACK-GAZE band!”. La mente corre ai suoi connazionali Alcest, intriganti ma certo non così coinvolgenti quanto l'ascolto odierno. Black gaze: quello strano ibrido che miscela ritmiche e voce black metal imparentandolo con sonorità eteree, dolci e sognanti di stampo shoegaze, sulla carta talmente agli opposti da suscitare ilarità o quantomeno non pochi dubbi sulla sostanza, nel quale includerei qui nostalgie screamo HC '90 e digressioni mutuate dal più riflessivo indie/postrock in crescendo (in primis di ascendenza Mogwai, con chitarre talvolta echeggianti persino i Dinosaur jr.). Ci penso qualche altro minuto e mi accaparro Ordinary corrupt human love sborsando €15 richiesti... Mai acquisto, negli ultimi anni, fu così prezioso (al quale accoppierei quello che è considerato il loro sophomore album, il secondo Sunbather del 2013, da molte riviste e libri specializzati ritenuto uno dei capolavori del metal -in senso lato- del nuovo millennio)! 

OCHL però diventa lo spartiacque della carriera: forse la band meditava già una sterzata direzionale (nonostante i tanti responsi positivi ricevuti, ricordo la nomination al Grammy per il pezzo Honeycomb come best metal performance), anche se quando fu postato nel 2019 il brano Black Brick, rimasto inedito su disco (trattasi di una outtake da OCHL, con cui davvero c'entrava nulla, di fatto il brano più estremo della carriera), fatto circolare unicamente tramite file audio, veemente attacco poco stemperato a mostrare il feroce lato black metal dei 5 -una nera sfuriata che si erge per la (quasi) totalità della sua durata- non era facile presagire che proprio questo avrebbe messo la parola fine alla prima fase della band, che si apprestava a festeggiare con un bel tour mondiale i suoi 10 anni nel 2020. Questo purtroppo non è accaduto, e sappiamo benissimo il perchè, handicap che ha portato a far uscire un live in studio celebrativo dell'evento, con le 8 tx poste come si sarebbe articolata la scaletta base del tour, a sancire anche, dopo la doppia parentesi Anti/Epitaph, l'approdo alla Sargent House. Dunque, preso il coraggio a piene mani si sono tuffati completamente nel nuovo corso e l'uscita ad agosto 2021 di Infinite Granite fuga ogni dubbio a riguardo: la svolta è compiuta.

D'altronde l'avevamo subito intuito dall'ascolto delle anteprime, a ridisegnare i nuovi equilibri della cornice sonora, sempre consapevoli dei propri mezzi e forza, seppur in altra convinta forma, dove la maggiore accessibilita' non implica uno svendersi al mainstream (considerando pure il minutaggio medio dei brani che, pure sforbiciato, si attesta sui 6 minuti). Il tiro negli episodi piu' diretti e' senza dubbio catchy, visto che ora si lavora sul pieno melodico, impregnato di una increspata grana che diventa pura immersione in un gioco di colori e avvincenti suggestioni in chiaroscuro. E scopriamo pure il cantato pulito di George Clarke (parallelamente attivo con i nuovi Alto Arc), straniante a primo approccio, abituati come eravamo fino a poco fa, che messo da parte il tipico rantolo black (per la gioia delle sue corde vocali), fornisce una prova delicata che si presenta ben funzionale al contesto e tanto basta (almeno tanto quanto i suoi dolenti, evocativi testi, nei quali riversa il suo personale caos calmo)

9 brani dalla produzione avviluppante ma slanciata, curata dal nuovo producer Justin Meldal-Johnsen (con la collaborazione del fido Jack Shirley), che offrono ben piu' di una fascinazione shoegaze/dream indie pop (dal nerbo propriamente rock), sempre presente sin dagli inizi ma, non dimentichiamolo, rivista e tradotta da angolazione post-metal (componente rintracciabile se proprio vogliamo, e mooolto stilizzata, nel denso tono dei brani più che nel suono d'insieme), galassia ove hanno orbitato per anni (anche se in tanti già faticavano a inserirli in tale contesto per sangue e radici, preferendo distinguerli come band alternative, per quanto estrema).

(Heavy) shoegaze dei giorni nostri, graffiante talvolta ma spesso battente bandiera riflessiva, dinamico e fisico quando ci vuole, con presenza di synths e le ispirate chitarre a tessere, riempire e ricamare incastri, riverberi, stratificazioni e liquidi arpeggi -più che riff- in una impalcatura dalla dilatata linearità strutturale, mancanti di quelle improvvise schegge variabili e sporgenze che ne mutavano mood e svolgimento all'interno dello stesso brano (tendenza predominante fino a OCHL, che piu' che ravvivare esaltavano gli stessi), ma senza che questi nuovi perdano efficacia ed intensità poichè settati su differenti geometrie.

L'opener Shellstar aggiorna ed incanala al meglio l'ascolto dei DFHN odierni come pure l'accattivante Great Mass of Color (ottima, con uno spesso finale d'altri tempi), l'alta offerta dreamy di In Blur non si traduce in mera ruffianeria; la corposa The Gnashing ci attira col suo nebuloso magnetismo nella sua orbita senza ritorno, le sfaccettate Villain e Lament for wasps proseguono seducenti nel loro andamento, l'ondeggiante Other language dal soffice temperamento che cova sotto la cenere fino all'estatica chiusa... Sicuramente alleggeriti da quell'ansia che li travolgeva, ora si mostrano più liberi di fluttuare ed espandersi, come ben sottolineato dal pulsante blu sfocato adottato per l'artwork, capace di illustrare e integrare le sensazioni spacey che scaturiscono dall'ascolto (se e' vero che a tale colore viene associato l'infinito).

Non abbiamo davanti i nuovi Ride, Slowdive o Swervedriver, se ve lo volete sentir dire, ma una band in costante movimento, che guarda sì a taluni modelli prendendo quanto serve, ma senza sminuire il proprio operato presente e passato (a cui possiamo ascrivere la placida e lunga Mombasa, che monta avanzando sino al subbuglio finale), con brani che sembrano talvolta sospendersi nelle parti centrali prendendo spesso forza d'insieme nelle (splendide) fragorose code finali. Insomma il gioco di squadra ancora una volta ha prodotto un lavoro meritevole, che spero solo non venga svalutato per mero pregiudizio.

Brillante specchio di una evoluzione coerente, a segnare un'ambiziosa ripartenza generale, da parte di una band che non ha paura di osare anche a costo di spiazzare l'audience, ancora una volta. Questo per me è IG, best lp 2021.