sabato 23 febbraio 2019

HUSKER DU - Lo specchio della vita



Continuando a parlare di personali numeri primi (vedi precedenti scritti Negazione e Kina), non posso esimermi dal raccontare la parabola del trio più famoso di Minneapolis. Tutte le band di cui ho finora parlato sul blog, li hanno incrociati o devono qualcosa a loro: i Doughboys all'inizio venivano etichettati Husker-core, gli Asexuals ci hanno suonato insieme qualche volta, i Samiam li richiamano col loro taglio malinconico, passando per i MC4 che, oltre a coverizzarli, ne sembravano una versione uk-powerpop, per finire con i Kina definiti Huskers from the mountain…Tanto per darvi qualche dettaglio. Ok, ma c'era bisogno dell'ennesimo HD excursus, dopo che ce l'hanno propinato tutte le più attendibili riviste e fauna web specializzata? Senza nulla togliere alla validità di tali articoli (ne ho letti una moltitudine e nessuno si è dimostrato inferiore alle aspettative: ognuno ha aggiunto qualcosa, dalle proprie analisi a notizie/stranezze scovate chissà dove, arricchendo così di nuovi particolari il racconto sulla band), francamente, il problema proprio non me lo pongo. Basta dirvi che per me rappresentano un punto fermo, stop. Da fan, per i fan del gruppo e per tutti coloro che si cibano di musica, da quando ci si alza fino a che ci si addormenta.



“Nei primi ‘80 bisognava partire dall’HC per andare oltre…”
Me la immagino la prima volta che vi siete imbattuti nel bizzarro nome: "Eh? Cos'è?"...La stessa sensazione di stupore si è ripetuta ascoltandoli, vero? Sappiate che non siete i soli. Siamo nell'estate 1978 a Minneapolis (Minnesota): qui un giovanissimo Bob Mould (studente fuorisede di sociologia e dj della college radio locale), frequentatore del Cheapo Record store incontra i due commessi del negozio Grant Hart e Greg Norton, e di comune accordo decidono di suonare assieme nominandosi HUSKER DU (TI RICORDI in svedese, dal nome di un gioco da tavola). Esordiscono live con l'inusuale -per loro- line up a 4 (con l'aggiunta di Charlie Pine) il 30 marzo 1979, subito ridimensionata a trio quando cominciano a suonare a più non posso in giro; escono due demos ed arriva il primo 7" autoprodotto (genn.'81: l'atipico Statues/ Amusement, quasi devoto al suono post-punk inglese), promosso con un tour denominato Children's Crusade che va dal 22 giugno al 15 agosto 1981, ultima data questa giocata in casa, dalla quale scaturiranno le registrazioni live che riempiranno l’intransigente esordio lungo LAND SPEED RECORD. Il disco -l’unico marcatamente politico a firma HD, a cominciare dalla emblematica copertina- viene pubblicato nel genn.'82 dalla californiana New Alliance (fondata e gestita dai Minutemen), vede allineate ben 17 tracce in 27 minuti di fuoco, dove la frenesia detta la linea da seguire -Ultracore è il nome di un pezzo, rendo l’idea?-, ad eccezione della finale Data Control a differenziarsi dal resto per lentezza e durata. Il Black Flag Chuck Dukowski dirà: "Probabilmente sono il gruppo più energetico che esista!"...c'è da fidarsi. 
Dopo il 7"ep In a Free Land ancora per la piccola label, che attirerà buone attenzioni con l’ottima title-track, viene dato alle stampe nel genn.'83 sulla loro Reflex, co-fondata con Terry Katzman nel 1980 (fido live-engineer fino al ’83 e boss in seguito della Garage D’or, che doveva marchiare l’abortito progetto della stampa dei primi due demos della band, da tempo bootlegati) il 12"ep EVERYTHING FALLS APART (ristampato poi col titolo prolungato in ...AND MORE in cd nel ’93 dalla Rhino, con l'aggiunta dei sopracitati 7" + inedito). 12 movimentati pezzi, con cover di Donovan (!), a loro agio nelle velocità HC del periodo (Punch Drunk, Bricklayer, Obnoxious), anche se una timida melodia comincia ad affiorare qua e là (la title-track, From the Gut, Gravity). In questo periodo la band farà una apparizione nell’album dei bostoniani DYS “Brotherhood”. 
Il disco convince chi già li stava seguendo, soprattutto un tale Greg Ginn; difatti, il seguito METAL CIRCUS appare nello stesso anno col logo SST e mostra chiaramente che qualcosa sta cambiando (anche testualmente). Sale gradualmente il tasso melodico, cala la velocità ma non a scapito dell'intensità tipica delle loro composizioni, su tutte It’s not funny anymore e Diane (evergreen a firma Hart) e nella concitata First of the last call... il costante work in progress comincia a dare i primi preziosi frutti, filosofia questa che mai li abbandonerà. Won't change, una delle varie outtakes di MC, verrà ripescata in versione live per la comp. A diamond hidden in the mouth of corpse della Giorno Poetry Systems (label del poeta NY John Giorno) uscita a fine 1985...buona ricerca!

1984: l'anno zero dell'indie USA
Il nuovo anno viene inaugurato a maggio col 7" Eight miles High (w/ Masochism World dal vivo), la cover del loro amore sixties, i Byrds, aggiornata con rispetto, brillantemente trattata secondo il personale filtro, al punto da sembrare un originale. In questa occasione verranno descritti come il perfetto matrimonio tra i selvaggi ’80 e i candidi ’60, anche se meglio centrò il punto Mauro Zola su Dynamo nel dic. ’95, scrivendo: “Ci facevano sentire moderni senza rinnegare quanto eravamo stati fino ad allora”... Sacro e profano: il preludio di grandi cose a venire.
Il gruppo annuncia l’ambiziosa intenzione di editare un doppio album, cosa inusuale -ai tempi- in ambiti HC/punk, ma quando arriva a luglio ZEN ARCADE c'è solo da convincersi che ci si trova di fronte ad un gruppo eccelso. Registrato e mixato in 85 ore quasi tutto in presa diretta, ad eccezione delle voci e poco altro, ed in notturna per risparmiare, snocciola 23 tracce in piena libertà espressiva, che mettono in mostra una varietà di stili ma che sembrano un corpo unico, senza cedimenti grazie ad un feeling speciale… Uno dei dischi più intensi si sia dato sentire: dalla selvaggia opener Something I learned today all'innato gusto melodico di Chartered trips e Whatever, dalla pianistica One step at a Time all’acustica Never talking to you again, dalla meditativa Standing by the sea all’anthemica Turn on the news passando per le furiose HC songs I'll never forget you, Indecision time, Beyond the Threshold, finanche sperimentando con nastri reverse in Dreams Recourring e l’improvvisazione della lunga Recourring dreams (qui si osa pure troppo, a dimostrare libertà totale da qualsivoglia logica di incasellamento). Pezzi riconducibili, almeno in termini di foga, all'area “core” (con il treno Hart e gli altri a ruota) ma dallo spirito fortemente critico nei confronti dello stesso quando si trasforma in dogma. Un disco ove viene centrifugato tutto quanto fatto ed acquisito fino ad allora, rielaborandolo con una lettura volta all’immediato futuro, espressivamente più ricco di soluzioni musicali. Una valida sintesi di istintività, elaborazione e cura generale, nonostante l’asprezza media del contenuto, per molti ardito e fin troppo spiazzante anche in campo HC, almeno per chi non avvezzo a divagazioni sulla materia. Cosa cela il titolo secondo una curiosa interpretazione letta in un libro? La band riteneva interessante come molti ragazzi riuscissero a trovare se stessi (concetto base della filosofia Zen) giocando con i videogames (Arcade è la sala giochi). In realtà concettualmente ZA narra le “imprese” di un ragazzo che lascia il tetto familiare per scoprire la vita passando attraverso diverse esperienze formative per poi accorgersi alla fine che si trattava solo di un sogno, una metafora per parlare del difficile periodo che intercorre tra la fine dell’adolescenza e l’inizio della fase che si fa adulta, come la band d’ora in avanti. 
Comunque sia, Zen Arcade sdogana l’HC -a modo loro s’intende- ad un pubblico diverso dal solito, che magari seguiva l’underground prediligendo altre sonorità; non a caso vengono sovente affiancati ai Minutemen, coi quali hanno in comune la genuina dedizione nel plasmare costantemente la materia base masticata, per crearsi un proprio linguaggio sonoro riconoscibile. Parlo di gruppi animati da una prolificità esplosiva e molta parsimonia: per capirci, $3000 è costato Z.A, l'altro epocale doppio lp DOUBLE NICKELS ON THE DIME degli eclettici colleghi addirittura la metà! Uno schiaffo alle esose produzioni major…Guido Chiesa sulle pagine di Rockerilla nell'86 dirà in una retrospettiva sui Minutemen:"Uno dei fattori che concorrono a realizzare questi primati di economia e velocità è la scelta degli ingegneri di mixaggio, come Spot (HD, M) o Ethan James (M), che proprio dalla mancanza di tempo e dalla rozzezza delle registrazioni senza prove, che per altri sono elementi limitativi, sanno trovare la ragione d'essere del loro talento e un in più artistico". I tizi si incroceranno spesso, tanto che la Reflex editerà nello stesso anno il live 7" Tour spiel, composto da covers di Creedence C.R., Van Halen, Blue Oyster Cult e Meat Puppets rifatte dai tre di San Pedro, contraccambiando così l'aiuto ricevuto agli inizi. Con ZA parliamo di uno dei dischi intoccabili degli ’80, assieme a Let It be dei concittadini amici-rivali Replacements e i Minutemen stessi con Double nickel... (tutti dello stesso anno, vinili che all'epoca raggruppati hanno fatto fuori un totale di circa 200.000 copie!) per capirli e capire meglio la portata sugli sviluppi della musica indie dei '90: un monumento della storia musicale alternativa, che negli anni smazzerà oltre 100.000 copie. Più di un disco, una muscolare prova di forza delle loro serie intenzioni.
Con queste premesse tutti concordano che la consacrazione é ormai a portata di mano e, a dimostrazione della loro smania creativa, il 1985 ci regala ben due nuovi lp! Quale sarà ora la nuova sfida? Il cambiamento nel nome della semplicità, questo sembrano cercare, senza strafare, padroni di sé più di quanto si aspettavano gli altri, controcorrente e per la propria strada fino in fondo per essere sempre rispettosi di se stessi. Insomma, è l’alba di un nuovo giorno.



“Cammini a testa alta, ma ti vendi a basso prezzo / Non ha alcun senso”
NEW DAY RISING e FLIP YOUR WIG, usciti rispettivamente a gennaio e settembre, allargano lo spettro sonoro coniando una irresistibile formula, tale da raccogliere riconoscimenti unanimi ovunque. Le college radio li programmano a ripetizione, parlano da soli alcuni dei pezzi inclusi: NDR vanta la -ossessiva perla- title-track, Girl who lives on heaven hill, I apologize, Terms of Psychic warfare, la stupenda Celebrated summer; FYW ribatte con Makes no sense at all, Divide and Conquer, Private Plane, Untitled, Games, Flexible flyer…Puro, meraviglioso fragore melodico (per Mojo “euforica malinconia”)! L'affiatamento è alle stelle, il suono si fa più lineare e meno spigoloso, con Hart influenzato dai sixties, più canonicamente pop ed immediato, e Mould più malinconico ed elettricamente furioso col suo "urlato melodico" (fonte Stiv Valli), armonia pop -intesa come facilità del senso melodico- ed abrasività punk a braccetto. Due monster album che faranno acquisire al nascente college/indierock una sua credibilità ed autonomia, in grado di farlo emergere e superare il confine del passatempo giovanile per porsi come centrale nelle vicende musicali dello scorso secolo. Se è durato nei decenni lo dobbiamo anche e soprattutto a questa splendida accoppiata.


I due lp erano stati inframmezzati dal bel 7" Makes no sense at all / Love is all around (questa di Sonny Curtis, dal tema del Mary Tyler Moore show), che beneficerà anche dell’accoppiata video, l’ennesimo instant-classic inventato dal trio, acclamato da più parti come singolo dell'anno (che la rediviva label di mr.Ginn ristamperà nel 1990 su 10”/mcd con l'aggiunta del precedente “Eight ...”). L'85 coincide con la prima volta in Europa, dove dalla data londinese verrà tratta la vhs Makes no sense (rieditato in dvd nel 2007 in Australia col titolo Live from Camden Palace), che in 19 pezzi bene evidenzia l'essenziale live set del power trio (e se volete vedere un intervista a Bob aftergig + tre estratti live ricercate la video-comp. del 1986 Punk overload); al NME del 1° febb. 86 invece viene allegata una comp. 7" in cui rifanno la Beatlesiana Ticket to ride -ripresa dal live sopracitato- nella più bella versione ascoltata fino ad oggi. 
A ben vedere un anno che ha davvero dello sconvolgente: sulla conferma del loro status di big dell'underground a stelle e strisce; per la SST, che conscia dei suoi limiti strutturali, capisce che niente può più fare per ingigantire la propria gallina dalle uova d’oro ma solo la band può fare ancora meglio per il suo marketing rimanendo in scuderia (passata dal quasi fallimento a traguardi di autosufficienza con i tre: ogni disco raggiungeva le 50.000 copie, con punte di 70.000 per il best-seller Flip Your Wig); per la band, che si vede fare delle avances anche dalle miopi majors che fiutano possibile grana… E qui la spunta la Warner Bros, alle cui lusinghe inaspettatamente cedono -nonostante un primo rifiuto dopo ZA-, siglando un deal per sette lp. Se gli scapestrati Replacements sono stati il primo gruppo rock underground a firmare per un colosso, loro di sicuro sono stati il primo gruppo HC (rompendo la barriera tra indie/corporate sound come modo d’intendere, cosa buona o becera fate vobis), pretendendo ed ottenendo la completa libertà espressiva -inclusa la supervisione della pubblicità-, visto che da sempre hanno seguito attentamente tutti gli aspetti loro riguardanti: dall'artwork di buona parte dei dischi recanti la mano di Hart sotto lo pseudonimo Fake Name Graphx, alla produzione della partnership Mould/Hart, aiutati da collaboratori come Spot, Steve Fjelstad o Lou Giordano, dal 1984 anche inseparabile fonico live. Questa decisione viene presa dai tre con lucida consapevolezza e non certo perché abbagliati da promesse di ricchezza e successo planetario (pur cercando di capitalizzare quanto cominciavano a riconoscere come possibile carriera), cose che verranno spiegate in una lettera aperta inviata ai propri fans pubblicata da Maximum R’n’R. Per i completisti, segnalo "The Blasting concept vol.II” lp edito a ottobre '85 dalla SST, ove figura un'outtake da NDR, Erase today.


“La rivoluzione inizia a casa, preferibilmente davanti allo specchio del bagno”
Il primo capitolo major, CANDY APPLE GREY, esce a marzo ’86, e prosegue la marcia di avvicinamento alla loro ideale forma canzone, ricamando magiche melodie per palati vari più del recente passato; senza più scossoni stilistici vero, ma nulla è pregiudicato in quanto a resa emozionale, solo ora in maniera diversa. Sicuramente l’album meno duro e più elastico realizzato, dove spicca maggiormente un sentimento introspettivo ed un sofferto pathos, più vicino a Mould che non al frizzante Hart, che qui però cala uno dei suoi assi vincenti, Don't want to know if you are lonely, pezzo che in formato 12" aveva anticipato l'uscita dell'album (dove replicano l'omaggio ai Beatles stavolta con Helter skelter accanto all’inedita All work and no play). 
Dopo l’inusuale apertura affidata alla rumorosa Crystal, il disco si snoda attraverso episodi più familiari, con le ottime melodie energizzate di Eiffel tower high, Sorry Somehow (edito in 12” con le versioni acustiche di Flexible Flyer e Celebrated Summer), I don’t know for sure, e addirittura sublimi brani lenti (la vera novità) dal tocco raffinato quali Too far down e Hardly getting over it. Seguono tours a sfare, da headliner e come supporto (tipo ai REM) ma “internamente” qualcosa comincia a scricchiolare… Dopo un rigenerante periodo di vacanza, il gruppo si rintana nel suo “magazzino” vicino St. Paul per provare e rifinire i pezzi che andranno a comporre l’atteso nuovo platter… Il risultato che uscirà dai consueti Nicollet studios è quello splendido intreccio di armonie chiamato WAREHOUSE: SONGS AND STORIES
Il disco, pubblicato a gennaio 1987, come il precedente suona rock a tutto tondo, ma si estranea nell’approccio dalla stessa cultura rock, attitudinalmente parlando: una nuova forma di rock figlio dell’esperienza punk, che lo disintossica da tutte le nocive scorie da stardom che portava spesso e volentieri con sè. Se solo la registrazione fosse stata meno piatta il tutto ne avrebbe giovato enormemente, ma anche questo aspetto passa in secondo piano davanti alla qualità messa sul piatto. Mould e Hart, da sempre spartitisi -seppur sgomitando- il lavoro di composizione e canto, sono animati da competizione, dichiarandosela a colpi di scrittura più toccante, riuscendovi in pieno per la gioia di noi tutti! Non un capello è fuori posto nonostante i problemi tra i due siano arrivati al culmine, tensioni che a giudicare dai 20 pezzi si avvertono solo da alcuni passaggi testuali, pregni di forte disillusione ed amarezza, come nella bellissima opener These important years (con Ice cold Ice, Could you be the one? e Standing in the Rain, la raggiunta perfezione power pop del trio?), che sembra preannunciare qualcosa che però non si vuole recepire, forse per paura di perdere un “faro” musicale. Epilogo al quale dovremo poi arrenderci quando gli ormai insanabili contrasti tra i due autori, trascinatisi nemmeno tanto sottopelle sin dall'approdo major (con la mazzata finale data dal suicidio del fan-manager David Savoy jr. nel febbraio 1987, il giorno prima dell’inizio tour), prendono il sopravvento al punto che, dopo aver interrotto un mini-tour locale, giunge nelle redazioni musicali il freddo comunicato stampa che laconicamente annuncia la fine. A tal proposito David Fricke scrisse su Rolling Stone: "La terra non si mosse, i cieli non si oscurarono, il mercato di Wall Street non sprofondò, almeno non più del solito, ma fu lo stesso doloroso: il 25 gennaio 1988 gli HD si sono sciolti".

Warehouse è figlio della disgregazione dei rapporti personali, anni di conflitti mai affrontati, un crescendo di gelidi silenzi e accuse reciproche di leaderismo che porteranno all'insanabile lacerazione tra i due propulsori dell'intera faccenda (aggiungeteci un'impensabile ai tempi coming out del Mould che gli faceva versare litri di alcool per mandare giu' la nascosta verità, e il pesante heroin flirt del paciocco batterista, ad inasprire il tutto), con il baffuto jumping Greg nel mezzo a fare da mediatore.
Come epitaffio non potevano lasciarci di meglio che questo lp, doppio ma venduto a prezzo singolo per loro esplicito volere -cedendo una parte dei profitti alla WB-, che avrà pure sancito la normalizzazione del suono rock HD (dando indicazione sulla strada futura dei tipi) ma ce ne fossero! Un altro disco che non dovrebbe mancare in una perfetta collezione rock, per Rolling Stone l’album del decennio! 
Comunque, nonostante la situazione interna sia tragica, la band promuove il disco portandolo a spasso mondiale come se nulla fosse, prova ne e' l'inaspettato THE LIVING END, con note del solito Fricke. Sfruttando l'onda lunga del fenomeno grunge, la WB decide nel 1994 che è il momento propizio per darci in pasto un disco live, e per quanto trattato con indifferenza dagli stessi autori, a me piace ricordarlo per le versioni da urlo di Standing in the rain e Celebrated summer...Più un disco da assolvimento contrattuale che altro. Un buon bootleg è Minneapolis Moonlight 1985, già noto come Lyndales Burning riproposto stavolta in versione completa con tutta la scaletta dello stesso concerto del 28/8/1985 al First Avenue; per i cultori segnalo anche un altro bootleg conosciuto di recente, tale Supernova.
Com’era iniziata l’avventura così degnamente si chiude, immortalandoli live in 24 pezzi, inclusa cover dei Ramones (i loro amati assieme ai Buzzcocks) e gli inediti Now that you know me (già pubblicata a fine ’89 nell'esordio –programmatico?- di Hart Intolerance) e Ain’t no water in the well, nonché la meno nota Everytime di Norton (tratta dal 12” di Could you be the one?), presi dai concerti dell'ultimo tour USA/Canada dell'autunno ‘87, giro preceduto dalla terza visita –di 17 date- nel vecchio continente dove approdano anche da noi al Ritz di Rocca di Novellara (RE) e Torino al Big Club il 15&16 giugno. Ricordo ancora, invidioso, il poster presente in casa dell'Ombra Sergio Milani, uno che in fatto di "devozione” non ha mai scherzato (batteria-voce dei Kina, poi Frontiera)! L’ultimo show (e mini tour) si consuma l’11/12/1987 al “Blue Note” in quel di Columbia, nel Missouri...Volenti o nolenti, da questo momento diventano storia e parte importante della storia rock.

Gli HUSKER DU sono tra i nomi più ricorrenti, quando si parla degli influenti '80; i loro dettami hanno travalicato i confini dell'area HC/punk arrivando a lambire pesantemente il rock, fino ad essere considerati padri putativi del cosiddetto suono grunge, segno di una inestimabile completezza espressiva e dell’apertura mentale dei tre. Le fondamenta di quel decennio, i cui pilastri hanno forgiato e sorretto quel suono che negli anni ‘90 ci siamo abituati a chiamare “alternative”, anche se nel frattempo gli abbiamo fatto perdere la sua etimologia, finendo per definire un suono e non un attitudine (per distinguere l’appartenenza ad un circuito che nulla aveva a che spartire con le majors...Anni dopo Mould nel suo disco eponimo chiamerà un pezzo I hate alternative rock!). Storicizzando il percorso, tracciando un equivalente nei '90, pensate all’impatto dei Fugazi nella scena indie (non solo americana) e cosa hanno significato per la sua evoluzione -seppur per motivi ben diversi- moltiplicatelo, e ci siamo.
E siamo ancora in tanti al giorno d'oggi a chiederci inutilmente “cosa avrebbero potuto fare ancora”? L'esperienza major fruttò solo due album, peraltro molto belli, che però pagarono lo scotto di non riuscire a catturare l'audience mainstream alla quale avevano deciso di rivolgersi, non riuscendo a penetrare nell'immaginario collettivo (complici anche una totale mancanza di look, sparate ad effetto, non certo poi degli adoni da far idolatrare ai teenagers), dove troppo spesso trionfa l'apparire sull'essere...Carriera fermatasi proprio ad un passo dall’affermazione commerciale? Onestamente, l’auspicato botto non ci fu, Warehouse all'epoca vendette circa 150.ooo copie...Ma il tempo è ormai scaduto, anche per altre elucubrazioni da fan, quindi mettiamoci un punto.

D’importanza capitale è stata la SST, label attiva dal ’78 e fiero simbolo alternativo all-time, che, nonostante gli attriti e qualche entrata a gamba tesa, seppe valorizzarli al meglio (al pari delle altre sue band, a cui il verbo “osare” non ha mai spaventato, in tempi dove vigeva un rigido schematismo stilistico: le punte della vera free-generation punk ’80?), traendone vari benefici tanto che ancora oggi riesce a sostentarsi col vecchio catalogo perennemente ristampato (dove troviamo Black Flag, Minutemen, Meat Puppets, Bad Brains, Sonic Youth, Dinosaur Jr., Soundgarden, Screaming Trees, Descendents, St. Vitus…!). Dal punto di vista testuale poi non sono stati da meno: per l'educativo invito alla riflessione dispensato, inserendo nel campo HC degli albori liriche dal forte sapore intimista, pubblicamente personali (ma dai risvolti sociali), dando stessa importanza a quelle d'assalto politiche, tipicità dell'HC da sempre...Precursori della corrente emo se vogliamo, al pari della scuola Dischord dei vari Dag Nasty/Embrace/Rites of Spring, testi comunque sempre identificabili come strumento di crescita e confronto quotidiano. Parte dal singolo individuo la "rigenerazione vitale" che poi la applica al mondo ed a quanto vuole esprimere: il vero cambiamento, consapevole e determinante. Non a caso Mould dirà:“Non vogliamo dire alla gente cosa pensare, non è questo il nostro obiettivo: vogliamo solo dirgli di pensare”.

Il tutto sostenuto da un esaltante supporto sonoro, creato dalla straripante Flying V satura di distorsione ai limiti del feedback ma pienamente melodic oriented (una chitarra che vale dieci), un'incalzante ed efficace drum-set, le due voci che si alternano/intersecano, magnificamente complementari nella loro diversità, ed un basso che spicca come struttura portante, costituendo l'ossatura dell’energico ed imitato modello. Non certo musicisti tecnicamente impeccabili, va detto, ma veramente qui poco importa.

All'indomani dello scioglimento, il cammino dei due songwriters sara' all'insegna del rock cantautorale, inteso nel senso piu' ampio: piu' convincente per Mould, solista (io amo The last dog and pony show del 1998) ed alla guida della creatura pop Sugar (l'esordio Copper Blue del '92 disco d'oro in Usa), meno per il discontinuo neo-chitarrista Hart, da solo (cito il mini 2541 per SST nel sett. 88) e con i Nova Mob (bello l'album omonimo del 1994), sospesi tra cavalcate rock, slanci pop e parentesi folk (piu' qualche sbandata elettronica per Bob)... Le loro carriere non hanno avuto tutta l'attenzione che riceveva puntualmente la progenitrice, ma ad onor del vero i due non l'hanno spasmodicamente cercata (anche se, per capirci, all'indomani dello scioglimento riflettori sono quasi tutti stati puntati verso Mould, il lato imprenditoriale della band, penombra sul piu' artistico Hart, oscurita' piena invece x Norton, colui che sgobbava dietro le quinte per l'unita'). Entrambi hanno poi continuato ad aiutare amici in giro, anche dopo la fine della Reflex: Mould, dopo le produzioni in passato di Articles of Faith, Soul Asylum, Impaler (!), Final Conflict, Hugh Beamont Exp., ha continuato con Starfish, Magnapop, Vic Chesnutt e diversi altri, ha fondato la specialistica S.O.L (Singles Only Label), marchio per diversi gruppi (tra cui i Grant Lee Buffalo) e duettato con i figliocci Foo Fighters nel 2011 nel pezzo Dear Rosemary contenuto in Wasting light
Hart dal canto suo ha prodotto e/o suonato con Yanomamos, Swallow, Magnolias, Patti Smith (nell'album Gung-Ho), mettendo pure su la label Tontine, gia' depositaria del debut 7” nel 1986 dei concittadini Run Westy Run. L'equilibrista Greg Norton ha collaborato con Sonny Vincent negli Shotgun Rationale dell'lp Who Do They think They are (Nomad
rec.) preferendo poi seguire la carriera di chef, nel suo apprezzato ristorante a conduzione familiare di St.Paul, poi chiuso. Lo ritroveremo nel 2007 nei Gang Font, con cui ha inciso l'album The Gang Font Feat. Interloper, per poi riemergere recentemente nelle fila dei Porcupine, autori del mini lp What you've heard isn't real (Dead Broke rekerds).
Come scrittura, tifo piu' per l'angst Mouldiana (con il suo impareggiabile accento malinconico, un vero spirito inquieto, di quelli che non si danno mai pace...) ma il premio simpatia va forse al compianto drummer...ecco, l'ho detto.

Un gradito ritorno d'attualità per la band c'e' stato nel 2017 grazie alla Number One group, che ha portato avanti per anni un certosino lavoro di recupero realizzando sotto forma di ricco box 3 cd /4 lp e corposo libro -più appendice EXTRA CIRCUS, 7”-mini cd appunto con le 5 outtakes delle Metal Circus sessioni- chiamato SAVAGE YOUNG DU (e vai con il richiamo ai soliti Beatles...), a ridare nuova luce e smalto a vecchie incisioni demo e live, per ben 69 tx che coprono a tappeto il caotico periodo '79-83, con l'approvazione totale del trio in persona. L'alternate version di Land Speed fa deragliare dalla restituita potenza (già per questo merita l'acquisto), le rimasterizzazioni di Everything Falls apart e In a free land (in sostanza l'ormai fuori stampa Everything...and more, ulteriormente migliorate) funzionano sempre a dovere… Bel documento da fare vostro, la veste più grezza della band la trovate qui in tutta la sua piena genuinità. Really fast & loud!

Il bello è che questa storia non è nata o si è svolta in una metropoli, una NY o Los Angeles, ma nella sonnolenta e fredda Minneapolis… per questo, romanticamente, mi piace vederla come la riscossa della dimenticata provincia americana, una sorta di rivincita del normale e semplice parafrasando l'amico Paul Westerberg. Forse proprio il clima gelido ed il decentramento geografico della città ha forgiato il caldo temperamento che fuoriesce da ogni nota composta, un contrasto che in modi differenti ha giovato entrambi: inserendo Minneapolis nelle cronache come riconosciuta rock-city che, grazie alla sua pressoché totale esclusione da ogni trend e condizionamento, ha stimolato la band a crearsi lì una storia col proprio retroterra personale ed indipendente, un magico binomio che ha reso possibile lo sviluppo di una delle espressioni più avvincenti di sempre (citando Massimo Scabbia sul Buscadero “Sono capaci di ottimizzare la risposta dei nostri sensi ed influenzare consapevolmente le nostre menti”). Il loro lascito? Un’umile lezione senza tempo, con ritmi da stacanovisti: a testimoniarlo 8 dischi dei quali due doppi in nemmeno 10 anni, qualitativamente ineccepibili. Una band sregolata –nel senso buono- che è diventata un esempio, che niente e nessuno è riuscito ad offuscare.

Diversi sono i tributi usciti nel corso degli anni: da Case Closed? per la tedesca Snoop rec. -benefit per la salvaguardia della foresta amazzonica, complimentato da Hart- con tra gli altri Alloy, Sick of it All, N.R.A., Gigantor, D.I., i nostri Upset Noise, a Du Huskers - The Twin Cities Replay Zen Arcade, con 23 band da Minneapolis/St.Paul che rifanno per intero il capolavoro, sulla locale Synapse, entrambi del ’94; dal mini There's a boy who lives on heaven hill della Burning Heart al tutto italiano Land Speed Sonic su Berserk nel '97. Come non mancano band che li hanno reinterpretati, c'è solo l'imbarazzo della scelta (si va dai Green Day a Heidi Berry agli Spacciatori di Musica Stupefacente). 
Certo, se mettete vicini il violento LAND e lo struggente WAREHOUSE le vostre orecchie stenteranno a credere si tratti dello stesso gruppo, eppure è così... evoluzione signori, non genuflessione al mercato, questo sia chiaro ed assodato per tutti! Dall’umanità HC al rock più umano mai sentito; quando si dice un’onesta dignità personale a fare sostanza (anche nel dopo Husker). “Vogliamo catalizzare una reazione, ma questa reazione significa per noi guardare dentro a se stessi. Se aiuteremo qualcun altro a farlo, il nostro compito di musicisti sarà realizzato” (Mould ’87). 

Curiosità: i Posies nell'lp Amazing Disgrace hanno un pezzo chiamato "Grant Hart", come i canadesi Furnaceface avevano fatto con "Ode to Grant Hart" nel cd Unsafe@anyspeed, mentre hanno osato di più i finnici Penniless People of Bulgaria titolando il secondo cd Mould! Gruppi che hanno scelto i nomi operativi di New Day Rising, Everything Falls Apart o 59 Times The Pain non vi ricordano (scusate il gioco di parole) qualcosa? O il progetto dei due Anthrax Scott Ian e C. Benante che si mettevano anni addietro a reinterpretare live il primo repertorio HD sotto la sigla Du Husker (oltre a coverizzarli con la band madre)... La Reflex ha svezzato il patron della futura AmRep Tom Hazelmayer, all'epoca loro dipendente nonché bassista degli Otto's Chemical Lounge (e prima ancora voce degli hardcorers Todlache), rilasciatari di un 7” per la label, isola anche per altri acts come Articles of Faith, Rifle Sport, Ground Zero, Mansized Action... Che ci crediate o no, Mould ha collaborato con il mondo del wrestling in qualità di sceneggiatore degli incontri! Tulsa Jacks è il nome dell’estemporanea one time band con Mould, Chris Osgood e Tommy Stinson, il cui unico brano è rintracciabile nella comp.tape Barefoot & Pregnance uscita nel 1982 in 200 copie su Reflex… Volete sapere la top 10 assoluta di Mould? Recuperate il libro The desert Island records (Tuttle ed., Blow Up staff). Sapete come i J Church intitolarono un lp? Whorehouse: Songs & stories! Per avere una panoramica abbastanza completa consultate l'aggiornato Husker Du database in rete (www.thirdav.com), dove troverete tutto l'impensabile se non di più sui tre.



BOB MOULD Live INIT Roma martedi’ 15/12/2009
(Presente!) 

Il buon Bob ha pensato bene, vista la capatina nello UK su invito dei curatori My Bloody Valentine, di partecipare il 6/12 al festival annuale Nightmare Before Christmas (con Swervedriver, Sonic Youth, Fucked Up, Primal Scream, Horrors…), e di prolungare la sua permanenza in continente tenendo 4 date in esclusiva europea nella nostra penisola.
Ravenna-Verona-Milano e per ultimo Roma, all'INIT dove mi sono recato per assistere alla performance del personaggio, accompagnato solo dalle sue due chitarre (ve lo dicevo che era in vacanza…). Dopo che Stiv Cantarelli aveva aperto le danze alle 22.45 armato di armonica e sei corde –ed una voce tentennante…-, carino ma niente più (ho captato dal testo di una delle 4 canzoni presentate qualcosa che parlava di Greyhound e deserti americani che fa molto Usa roots…), dopo una breve pausa alle 23.30 irrompe sul palco il nostro, che attacca senza perder tempo una sentita Wishin' Well, See a little Light, e poi, dopo aver imbracciato l’elettrica, giù a botta con alcuni Husker senza tempo (Something i learned today, I apologize, Hardly getting over it, Celebrated summer, la preistorica In a free land), che sollevano l’ovazione dell’esiguo pubblico accorso (poco più di un centinaio), Sugar (la sola You’re favorite thing) ed altri estratti dall’ultimo bel lp Life and Times come I’m Sorry baby, e la stessa title-track.
Dopo un’ora sudata ed un bis con Makes No sense at all, scusandosi per essere rimasto senza voce (l’ha detto lui altrimenti nessuno se ne sarebbe accorto!), l’uomo che talvolta sembra più giovane ora di vent’anni fa, conclude la bella serata. 
Li per lì, su due piedi, sono rimasto un po’ deluso, nel senso che se avessi saputo prima che presentava un set in solitario, non credo mi sarei spinto per i 250 km che mi separano da Firenze a Roma (più quasi un’ora e mezza nel freddo per tornare a Trastevere dal mio amico ospitante)…L'indomani invece mi sono ricreduto totalmente, perché se è vero che ascoltare pezzi originariamente elettrici degli Husker direttamente da chi li ha composti non capita tutti i giorni, la spoglia veste acustica ha dimostrato tutto il valore della scrittura di Mould, che è questo nella sua semplicità. Inutile annientarlo parlando di artista bollito, cristallizzato nel suo suono senza variazioni, che si rivolge alla sua sicura nicchia di mercato (non stiamo parlando di Michael Bolton…). Per certo non prende nessuno in giro: è quello che sa fare meglio e quello fa, sempre per la sua strada, preferendo far parlare le emozioni scegliendo un accordo, una particolare sfumatura, quella scintilla che scava nel cuore ancora oggi…e fin quando ci sarà qualcuno in grado di tirar fuori un riff memorabile, una melodia contagiosa, un testo significativo (o tutto ciò insieme, in questo caso), non si potrà mai parlare di mestiere. Per me rimane uno dei più grandi songwriter rock americani, parlano in suo favore i dischi da solo ed in compagnia da oltre 35 anni. Per le versioni elettriche mi accontento di gustarmi appieno i dischi, il prezioso sfizio acustico me lo sono goduto come una chicca, in attesa di saggiare prima o poi la band al completo a mille decibel!

P.S: See a little light: The trail of rage and melody è l’autobiografia di Mould approntata con l’aiuto di Michael Azerrad (autore di uno dei più appassionanti libri musicali, qual è l’ottimo Our band could be your life, in Italia American Indie 1981-1991, su Arcana, dove tra gli altri venivano trattati gli stessi HD), uscita a giugno 2011… A quando la versione italiana? Intanto ingannate l'attesa con il bel libro 2016 di Roberto Curti di Blow Up mag sulla band! 

In memoria di Grant Hart 1961-2017


Bob Mould ricorda Grant Hart
“Era l'autunno 1978. Frequentavo il Macalaster College a St.Paul, A un isolato dal dormitorio c'era un piccolo negozio che si chiamava Cheapo Records. C'era un sistema di amplificazione vicino alla porta che sparava punk rock. Sono entrato e ho sbattuto nell'unica persona che c'era dentro... Era Grant Hart. I successivi nove anni della mia vita li ho trascorsi con lui. Abbiamo fatto insieme della musica fantastica. Siamo quasi sempre stati d'accordo su come presentare il nostro lavoro al mondo. Quando abbiamo litigato per dei dettagli è stato perchè a entrambi importava molto della band...Era la nostra vita. Sono stati dieci anni incredibili. Abbiamo smesso di lavorare insieme nel gennaio 1988. Abbiamo iniziato le nostre carriere soliste, guidando le nostre nuove band, trovando modi diversi di raccontare le nostre storie. Siamo rimasti in contatto in questi 29 anni, a volte pacificamente, altre con difficoltà...nel bene e nel male è stato così. Questo succede quando a due persone interessa ciò che hanno costruito insieme. La tragica notizia della morte di Grant non mi è giunta inaspettata. I miei pensieri e le mie più sentite condoglianze vanno alla sua famiglia, agli amici e fans sparsi per il mondo. Grant Hart era un dotato artista visivo, un meraviglioso narratore e un validissimo musicista... Tutti lo ricorderemo per sempre. Buona fortuna, Grant. Mi manchi”