domenica 15 maggio 2016

The DOUGHBOYS - Happy-Sad philosophy





Ok: a molti questo nome dirà poco, se non addirittura nulla alle nuove generazioni, ne sono ben conscio... L’ennesimo affronto duro da digerire, specie quando si parla di gruppi poco trendy, in fatto di stile o appartenenza al giro giusto, motivi che certo non spingono a parlarne. Giusto qualche nostalgico ogni tanto li tira ancora fuori…Vendetta! L’articolo vuole quindi rendere giustizia ad un gruppo dall’alto spessore, che merita di farsi ri/scoprire per le tante entusiasmanti pagine scritte in 10 anni d’attività.

Montreal (Quebec), fine 1986: il ventenne Johh Kastner, dopo un ep e due micidiali lp tra l'84-'85 (Be What You Want e Contemporary World), viene cacciato dagli Asexuals, energica HC band nella quale cantava e di cui era fondatore, e cosi' decide di ripartire all'istante iniziando una nuova avventura (imbracciando anche la chitarra ritmica), con alcuni amici che entrano a far parte del gruppo (come il bassista Jon Asencio Bondhead -ex League of Dead Politicians e Zyklome B-, il chit. Scott McCullough ed il poderoso batterista Brock Pytel)... Il nome prescelto e' DOUGHBOYS! I quattro si rintanano volutamente per alcuni mesi al chiuso tra sala prove e lo studio cittadino Victor, e, senza aver mai suonato dal vivo, confezionano, con il produttore Steve Kravac, quello che diventa l'esordio effettivo. WHATEVER esce a meta' 1987 per la concittadina Pipeline rec. (ristampato poi dalla Cargo ed in Inghilterra dalla What Goes on), sfoggia dieci indovinate tracce che puntano piu' sulla melodia che sulla velocita' HC in senso stretto (pur mostrandone i dettami, come mai piu' faranno), con parti vocali divise tra Kastner e Pytel. Si scatta subito con Tradition che assieme a You're Related (uscita pure su video) dettano il ritmo al disco, ma sono songs come Strangers from within, I Remember e la doppietta finale You don't know me/ I don't wanna know ad emergere grazie al robusto pieno melodico (con qualche variazione in You don't, formalmente una rock song ma suonata con irruenza tutta core), ruvidi accordi conditi da ruggenti melodie umorali, tra solarita' e malinconia, una particolarita' rintracciabile in diverse bands della loro terra (...sara' l'effetto della neve?), che lasciano un bel segno in chi ne viene a contatto. Intanto in seno alla band si verifica il primo avvicendamento -una costante d'ora in avanti-, con l'entrata del chitarrista-cantante Jon Widdalee Cummins (ex Circus Lupus di Toronto, conosciuto dopo una data nella sua Boston nel corso del primo USA-tour, fatto dai 'Boys prima di aver mai suonato in Canada, nonostante l'album fosse gia' fuori!), al posto del McCullough (futuro alt-rocker nei Rusty), che diventa subito un pilastro della formazione. La faccenda sembra continuare sulla strada giusta, quando vengono contattati dal produttore Dan McConomy, che stava cercando una band pronta a fornire qualche brano a supporto di un film in preparazione sul mondo skate... Durante la fase di realizzazione pero' l'accordo si dissolve nel nulla, causa bancarotta della casa di produzione del film; visto che 3 pezzi erano pronti (reprise di brani gia' su Whatever), decidono di farli uscire ugualmente sotto forma di promo 7''ep in 500 copie su MTL rec. (in pratica autoprodotto). Dopo un tour attraverso il Canada, come opening act dei Red Hot Chili Peppers, trovato un accordo con la californiana Restless nel 1988, i nostri fermano un attimo la loro sfrenata attivita' on the road, prendendosi giusto una pausa per incidere, in California, l'album che dichiara il loro stile, consacrandolo agli annali del genere -cuore e memoria-, mostrando l'animata essenza della band. Parlo della perla HOME AGAIN dell'agosto '89, prodotto dalla rodata coppia Stevenson- Egerton (chi non li conosce per la militanza negli storici Descendents e nei frizzanti All, oltre alla parentesi Black Flag del Stevenson- si schiaffeggi da solo), che optano per una produzione tipica di quelle che privilegiano l'ascolto loud volume, riuscendo a rendere magiche le dieci chicche incluse, apprezzate al punto da farli notare in maniera vistosa in ambito underground, dove gia' si parla di loro come uno dei migliori live-acts del Nord-America. Buying Time e No way fanno carburare l'ascolto, che si vivacizza ulteriormente con le scatenate In my head e Waiting away, la Today di Cummins che conquista favori con la sua abilita' melodica, e l'ultima She doesn't live there anymore di Asencio, a presentare l'anima che verra' propriamente fuori da li a poco, strizzando l'orecchio al mondo college (degna dei migliori Soul Asylum). Vertici del disco? La struggente I won't write you a letter, la travolgente Numbered Days, con quell'impennata di tono finale, e la punk song White Sister (con la mitica parte centrale a cappella) non hanno eguali! Un torrido connubio che si nutre di superlative melodie, energizzate dall'irruento trattamento punk e da un intenso feeling live, con le voci che si completano vicendevolmente (chi scrive il pezzo lo canta...quindi tutti!) e si accoppiano nei coinvolgenti cori a profusione...Husker-core venne definito all'epoca (con un debito pagato pure ai Descendents, specie nelle parti ritmiche). Tra l'altro e' l'unico loro disco a cui sono allegati i testi, solitamente presenti in brevi estratti (mistero che francamente non mi spiego, se non con la poco importanza riservata agli stessi), qui dalle riflessioni dolci-amare che ben spiegano il titolo dell'album. Ricordo ancora con gran piacere l'articolo di Pierluigi Bella sulle pagine del defunto mensile Velvet, uno dei pochissimi audaci a diffondere il culto nello stivale. <Really powerfully produced music, lots of guitar & umph here. Good record from these Canadians!> (Tim Yohannon MRR #77, ott. 89).

Qui finisce il periodo più esagitato -e dall’underground feel- della band, con l’abbandono del Pytel in vece del potente e preciso drumming di Paul Newman (da Toronto, nessuna parentela con lo “spaccone” hollywoodiano) ed inizia la fase che mette a -strettissimo- contatto il punk con il power-pop (perlomeno quello che si intende con il termine rapportato nell’era alternative), che li contraddistinguerà in futuro, a partire dall’immediato nuovo lp, HAPPY ACCIDENTS, fuori nel 1990. Stupende le armonie e gli intrecci vocali che riescono a modellare (“soffice respiro vocale” dalle parole dell’amico Luca Collepiccolo), ancora una volta straordinaria la capacità di creare trame sonore avvolgenti dal ricercato gusto melodico. Alla brillante Countdown è affidata l’apertura, uno dei pezzi più energici del platter, assieme a Sorry Wrong number e Every bit of nothing, che si sviluppa e cresce attraverso la profonda Deep End ed il rock di Happy Home, due immediati Dough’s classici; le convincenti firme di Cummins (sempre più presente in fase di scrittura) Intravenus de Milo, Far Away e Wait and see fanno gioire, per proseguire con l’accattivante Happy sad day, e lo spensierato pop elettro-acustico di Sunflower honey (qui si parlava addirittura di corteggiamento dei REM fans), con un testo che sa molto di presa di culo da quel che si intuisce, scritta e cantata da Asencio, che vien fuori come il lato più pop della band. Gli ultimi due pezzi invece sono autentiche mosche bianche nella loro discografia: The apprenticeship of Lenny Kravitz sembra un pasticcio rock senza capo nè coda, mentre la conclusione è affidata ad un bel brano acustico all’americana, Tupperware party… Un disco intrigante dal pronunciato afflato college-rock, arioso nell’atmosfera che emanano le 13 tx, che forse soffre solo la loro scelta di produzione (o la pesante mano del produttore Michael P. Wojewoda?), risultando in taluni casi ridondanti (specie in certi arrangiamenti). <Hard hitting dose of pop oriented hard rock with sharp hooks and vocal harmonies> citando Billboard... Il contesto sonoro si sarà pure addolcito, ma per quanto concerne la qualità del materiale, nulla da eccepire: eccellente! (idem la copertina di Drazen Kozjan, già designer di Home Again). Insomma, la band vuole dire a tutti che è pronta per la svolta di carriera! Da ricordare l’amichevole collaborazione prestata dai due Voivod Michel “Away” Langevin e Jean Yves “Blacky” Thierault. Parte il tour che li porterà nel nostro continente a cavallo tra il 1990/91, con alcune date pure da noi (7 dic. all’Isola nel Kantiere, indimenticato squat bolognese), dove ritornano dopo la toccata e fuga dell’89 (7 ott. al “Joy Club” di Balsega di Pinè (TN), 8 ott. “Sala Boldini” di Ferrara, qui supportati dai locali Madhouse). Proprio da due concerti tedeschi tenuti a Bielefield, verranno estratti i 4 pezzi che compongono il live ep HOME AGAIN (titolo bis!), seconda uscita del singles club della Blackbox, che li vede alle prese con due originali + due covers, appartenenti a Cheap Trick (“He’s a whore”) e Kiss (“Stole yer love”). Il seguente minilp WHEN UP TURNS TO DOWN a fine ’91 (stavolta dimissionario il bassista J. Asencio Bondhead, sostituito dalla meteora John Deslauriers), è un passo controverso, poiché esce nel completo disaccordo tra la band e l’etichetta, che li forza coi soliti obblighi contrattuali (ragionamento più vicino all’ottica major che non ad una indie…), a mò di ripicca poiché la band nel frattempo meditava di cambiare aria, disgustata ormai dalle ripetute fregature incorse e dall’ambiguo comportamento della label, come in un rapporto mai decollato, nonostante le buone premesse iniziali. Nei suoi 5 pezzi solo due sono nuovi di zecca, l’opener So Long e la title track, più riflessiva e meditata, anche nel ritmo, sulla falsariga stilistica dei migliori episodi di “Happy…”, aggiunti a due covers più il remix di “Deep End” (nella stampa europea, su Roadrunner, è esente la cover di "Private Idaho” dei B 52’s). Partecipano poi a Something’s gone wrong again, il tributo ai Buzzcocks (con i quali erano stati in tour e tra i loro numi tutelari) messo su dalla rinomata Cruz nel ’92, dove rivivono gli infuocati spiriti di gioventù col remake di Why she’s a girl from the chainstore… Una goduria per il quartetto, visto le notevoli affinità sonore con quanto abitualmente masticano; il loro terreno ideale, semplice ma dal forte impatto emotivo. 

Nella stessa estate i nostri decidono di rescindere il contratto-capestro che li legava alla truffaldina Restless, svincolo pagato a duro prezzo (pare $10.000), ma necessario, anche perché qualcuno aveva bussato alla loro porta: difatti, la situazione si sblocca poco dopo quando firmano per la major A&M, lesta ad assicurarsi per prima le loro prestazioni, che da alle stampe il gettonato CRUSH. Il disco esce nell’agosto ’93, anticipato dai cd singoli (con tanto di video) degli estratti Shine e Fix Me -scritti in collaborazione con il MC4 Wiz-, tre pezzi ognuno, con in dote quattro esclusivi inediti complessivi (peraltro ottimi, come la veloce e punk Shawn’s stories e la toccante 16 sins), disponibili in parte anche sul mcd BLANCHE. Il cd segna l’ingresso del nuovo bassista Peter Arsenault (da Halifax, ex chitarra nei primi due lp dei Jellyfishbabies), viene accolto molto bene da stampa e pubblico, ed è girato –ma senza far breccia… - anche qui nel vecchio continente, grazie al minimo di spinta garantita dalla ammaliante hit “Shine” (inserita al 26° posto di una speciale classifica dei singoli più belli in assoluto di autori canadesi stilata da Chart Magazine!) a trainare l’album che in patria raggiungerà il disco d’oro (50.000 unità vendute). I canoni di riferimento trasmessi sono quelli dell’alternative rock tipicamente ’90 più prossimo al pop, rinvigorito da rimandi punk (seppur mitigati dalla levigata produzione), presente nel dna dei nostri. L’uno-due d’apertura promette grandi cose: Shine e Melt, energiche quanto bastano a bilanciare azzeccate melodie e grinta d’esecuzione, aspetti replicati in End of the Hall e Tearin’ away, si cambia invece registro con Fix Me (puro MC4 pop style) e soprattutto Neighbourhood villain, sospesa tra implosione/esplosione, e sembrano buoni anche i tentativi di andare oltre la proposta, come nel caso della meno lineare Fall, il numero alla Buffalo Tom di Treehouse, ed il grunge flavour de Shitty song e Summer song…Un lavoro discreto, a tratti esaltante nel suo brioso tiro, che tante soddisfazioni porterà loro, dopo anni di dura gavetta. Ritornano poi in Europa per un mesetto, dopo un fugace Uk tour tra agosto/sett. ’93 (con apparizione al festival di Reading), aprendo per i -sopravvalutati- Therapy, coi quali avevano già girato in Canada, itinerario che tocca lo stivale per due gigs, a Firenze (Auditorium Flog, sab. 26 marzo ’94, il migliore, con un devastante finale affidato al Pere Ubu classic “Final Solution”) e Milano (al City Square il giorno dopo, funesto per la nostra storia nazionale, causa la vittoria del polo s-fascista del Cavaliere nelle politiche), concerto di cui sono stato felice testimone, non completamente appagato visti gli appena 25’ -impareggiabili!- proposti dal four-piece...ed i 1000Km per vederli in azione! Una durata misera ma a conferma che la dimensione live fa accrescere il valore delle loro composizioni. Restano memorabili le figuracce fatte poi dalla stampa specializzata in alcune live-reviews (da “gruppo texano” per Flash e “gruppo al primo disco” per Metal Shock, passando per le cattivelle di Itself ‘zine). Il tour mondiale proseguirà bene, tanto che alla fine conteranno ben 250 date fatte in 16 mesi a zonzo (ma diciamo che erano perennemente in tour: si parlava di circa 200 date l’anno, cosa che li ha forgiati a tutte le intemperie!). Il tempo trascorre, la band partecipa alla soundtrack de A tribute to Hard Core Logo, dove assieme ad altre 14 reinterpretano i pezzi della pellicola (un mockumentary del ’96 di Bruce McDonald, basato sulla punk/HC band canadese Hard Core Logo, in realtà mai esistita!), cimentandosi con Something’s gonna die tonight

E si arriva all’estate 1996, a cui risale l’uscita del nuovo tassello TURN ME ON. Travagliata la sua gestazione, prodotto inizialmente da Ted Niceley, poi sollevato dall’incarico a favore di Daniel Rey, già produttore di Crush. Il cd, dalla copertina –oscena- curata dal Kastner e dal fido designer Pat Hamou (specializzato in poster-art, presente col suo apprezzato tocco sin dall'era Asexuals), propone una fragrante ondata melodica condensata in 12 pezzi: per farla breve, più rock che punk e più pop del pop mostrato in Crush, caratteristiche però ben distinte e non miscelate come poteva essere stato in passato, con netta predominanza del coefficiente pop, minato però da un indeciso umore chiaro/scuro che sembra affliggere i pezzi. Un dolce arpeggio introduce l’incisiva Lucky, I never liked you si fa strada col suo penetrante tiro catchy e la grazia pop di Everything and after commuove (non a caso i due singoli scelti), così come conquista il delicato calibro della onirica Coma; la scuola punk si fa sentire –solo- in My favorite martian, la riservata concessione mainstream di Slip Away avvia il disco al finale in scioltezza di Down in the world… La voglia di diversificare il piatto è evidente, solo in un modo che quasi lo compromette (vedasi le anonime Diamond idiot e Nothing inside), per un disco che non sappiamo se cede alle pressioni della label, ma di sicuro sarà il più debole sfornato dalla casa. Importantissimo cambio di line-up: lascia, e non solo per divergenze musicali, il veterano “Johnson” Cummins, in favore di Wiz, ex voce-chitarra degli affini Mega City 4, che si trasferisce appositamente in Canada, intervenendo anche stavolta nella stesura del disco con un paio di ottime piazzate (Lucky e l’affascinante It can all be taken away), anche se già a fine anno l’inglese abdicherà per rientrare in patria. Il Kastner troverà anche il tempo per una comparsata nell’ultimo lp del primm’ammore Asexuals Fitzjoy, come già fatto con il debut mlp dei Rise ed i Men Without Hats dell’album Sideways del ’91 (gruppo del tastierista Ivan Doroschuk, collaboratore in studio sin da Happy Accidents). La chiamata degli allora dominatori di classifiche Offspring, che li vogliono a tutti i costi al loro fianco per il Canada tour dell’estate ‘97, li sprona a riprendere l’attività live, grazie anche al gentile aiuto del chitarrista Mark Arnold, che si unirà per queste date, ma nuovi problemi sono già dietro l’angolo ad attenderli…Subito dopo il gruppo come trio intraprende un breve tour negli States, alla fine del quale viene congelato dallo stesso Kastner, molto deluso dal disinteresse della A&M, che, non avendo sostenuto promozionalmente “Turn me on”, ha lasciato la band al proprio destino, incrinando irreversibilmente il rapporto tra le parti. Tutta la preziosa semina distrutta, ancora una volta.

Kastner poco dopo si trasferirà in California (dopo aver transitato per Toronto) dove assieme agli ex M.I.A. e Big Drill Car Frank Daly e Mark Arnold (amici dall’epoca del Descendents “FinAll” tour nell’87, condiviso come support-acts) metterà su gli ALL SYSTEMS GO!, completati con il batterista degli High Lo Fi Matt Taylor, sfornando nel giugno ’99, per la Coldfront, il cd omonimo. Il disco, grazie al video-single All I Want, e tour con Lag Wagon e nell’itinerante Warped, avrà un buon successo underground internazionale, merito anche della indie svedese Bad Taste, che lo stamperà in Europa. Il tour mondiale li farà girare per svariati mesi nel 2000, con date anche in Italia con i Satanic Surfers; quella al Leoncavallo è stata molto adrenalinica, confermo! Del 2002 è il secondo brillante capitolo Mon Chi Chi, prodotto sempre da D. Rey (quasi un membro aggiunto alla band), diverso nella sezione ritmica, e più personale stilisticamente, che ha ricevuto gli stessi elogi del debutto…Cosa suonano gli ASG? Immaginateli come un energico incrocio tra la canadesità pop dei Doughboys e la californianità punk dei Big Drill Car, cioè la cara e vecchia scuola dei loro trascorsi. Il futuro però è buio pesto: nel 2007 hanno rilasciato via I Tunes e solo in download A Late Night Snack, una raccolta di 14 tracce tra outtakes e demos, hanno cambiato bass-player (dal Descendents/All Karl Alvarez, a John P. Sutton, co-fondatore degli ottimi Weakerthans) poi il nulla…
Tornando ai 'Boys, inaspettatamente a fine 2003 mi imbatto in LE MAJEURE 1987, l’originale demo in versione 7''ep/mcd! Difatti l’attento Pytel recupera il master con i primi 3 pezzi dei Doughboys (The Forecast, Stranger from within e I remember), meno curati e più grezzi degli stessi poi ri-registrati su Whatever; 2500 copie stampate dalla Scamindy in collaborazione con la Does Everyone Stare, ed in Europa dalla Boss Tuneage (su espressa richiesta del “fornitore” Kastner). Anche altri ex sono ritornati in pista: Cummins alla guida dei potenti Bionic prima e poi degli Usa Out of Vietnam, Pytel da solista (nel cui bel debut cd Second Choice troviamo Kastner e Bondhead), negli Slip-ons e la sua label Scamindy, Newman dopo la breve parentesi come road manager (per Legendary Pink Dots e Pluto) e negli storici punks Forgotten Rebels, riemerge con i Blue Mercury Coupe. Kastner continua ad essere il piu' affaccendato: dopo aver realizzato alcune colonne sonore per telefilm, presenziato, anche come coautore in due pezzi, nell’album “Bubblegum” di Mark Lanegan, oltre che ospitato nel pezzo “It just takes time” dai River City High, collaborato live e studio con i Bran Van 3000, nel 2009 ha musicato la vampiresca commedia rock Suck, film di Rob Stefaniuk, che vede tra gli interpreti Henry Rollins, Moby, Iggy Pop, Alice Cooper…un cast d’eccezione! Nel giugno 2006 ha ufficialmente iniziato pure la carriera solista, rilasciando per la Cobraside Have You Seen Lucky? (i Replacements…), lp che si avvale di prestigiose presenze come il chit. dei Rush Alex Lifeson, il batt. dei Voivod M.Langevin, la voce dei Fear Lee Ving ed altri, con scatto di copertina fatto da Evan “Lemonhead” Dando (con cui aveva fatto pure tour come acoustic duo). Il disco scorre via alla grande: 12 rock songs, talvolta più pop, altre più punk, che graffiano con tutta la profonda e sincera passione che trasuda da sempre...Recentemente ha messo pure lo zampino (o meglio l'ugola ai cori) nel comeback dei grandi NILS del redivivo Carlos Soria, Shadows and Ghosts, uscito nel 2015 per la sua Cobraside, a chiusura di un cerchio cittadino Montrealese che parte da lontano, considerando che in passato hanno condiviso palchi e stima (il nostro nel box celebrativo del ventennale della Boss Tuneage Too much music...Too many bands propose la sua versione di When you’re Young, scritta dal compianto amico e fratello minore di Carlos, Alex Soria -morto suicida nel 2004- per la sua band post Nils Chino. Nello stesso box il ritrovato Brock Pytel rifece Fountains dei Nils). Che dire, 50 anni suonati bene!

Sull’onda dell’entusiasmo vi consiglio i primi 3 imperdibili lp (ai giorni nostri Whatever viene ricordato come un classico del punk/HC canadese, invece l’esuberante alchimia di Home again rimane il più amato dai fans storici), specie agli amanti del più genuino ed equilibrato melodic punk/HC, suonato con una vitalità positiva e pregno di trascinante sentimento. Superfluo dire che, nel caso foste in possesso di registrazioni rare, live e video nei quali figurano (ed a me mancanti, come quello della video-zine tedesca Tv Enemy; il libro Hell on wheels-a tour stories comp. di G.Jacobs, che fa raccontare alle bands aneddoti e storie capitate in tour, e l’altro Have not been the same - The Can Rock renaissance ‘85-‘95; il Jam-tribute cd When you’re young edito dalla Explosion, dove ritroviamo alcuni ‘Boys tra i Mountain Bride of Historical Society, che rifanno “But I’m different now”; bootlegs live delle Hole che coverizzano “Shine” o gli ASG! ritratti come backing band nel canadian-tour dell’ex Swervedriver Adam Franklin, alle prese proprio col repertorio degli inglesi), siete obbligati a farvi vivi, così da arricchire con la vostra collaborazione lo scritto in questione. Teneteli a mente per ora: dopo averli ascoltati, saranno parte del vostro cuore, indelebilmente. Provare per credere.

…E’ dall’ultimo show fatto l’8 Agosto 1997 a Green Bay, Wisconsin, 14 anni dopo i Doughboys si sono ripresentati nel 2011 con quella che può definirsi una reunion ufficiale, per quanto live, con la line-up di Happy Accidents (quella dei tre John!). Su invito di Dave Grohl, non nuovo a queste miracolose iniziative, per l’impatto positivo che sortiscono, 4 show: il primo segreto di riscaldamento al Bovine Club di Toronto, città nella quale l’indomani hanno supportato Foo Fighters e Fucked Up all’Air Canada Centre, same bill nella loro Montreal il 10 agosto al Bell Centre, con finale in notturna e show solitario a sorpresa nel club cittadino Lambi. Se la speranza è l’ultima a morire...