lunedì 1 giugno 2020

IGGY & The STOOGES Raw Power - lp 1973 CBS/Columbia



Continuando a parlare di numeri primi, qui sviscero il contenuto di un altro esempio da top personale.

Etica, estetica e suono: l’atto di nascita ufficiale del punk-rock. Questo rappresenta RAW POWER per chi scrive. D'accordo, prima di loro c'erano stati altri forsennati esempi come Seeds, Sonics, Deviants, gli stessi amici fraterni MC5, le seminali garage band minori degli oscuri sotterranei 60's riesumate dal buon Lenny Kaye nelle storiche comp. Nuggets... Tutto vero, ma senza che nessuno di questi si fosse mai avvicinato al nichilismo espresso in musica (e non solo) da questi giovani disadattati. Ribadisco, questo rimane, se non il primo, di sicuro l'esempio massimo di punk prima che lo stesso venisse codificato come genere, anche solo per mantenersi a livello puramente musicale, con una sua fisionomia e personalità indipendente. Walk on the real wild side of life...

Il paradiso era Detroit, nel Michigan” disse un tale Lester Bangs...
Gli Stooges nascono (come Psychedelic Stooges, nei primi concerti) nel 1967 ad Ann Arbor, nell'area della motorcity Detroit, città questa che ha sempre mostrato un carattere alquanto instabile (l'alienazione da catena di montaggio?) quindi poco incline all'imperante flower power in voga all'epoca, un posto molto più intriso di duro realismo quotidiano a scontrarsi con le astrazioni hippie-filosofiche tutto peace and love e sballi di espansione mentale del periodo. I nostri, James Newell Osterberg Jr. ribattezzatosi Iggy Pop, i fratelli Ron (chitarra) e Scott (batteria) Asheton e Dave Alexander (basso), non rimangono immuni dal contesto sociale (e viziacci...) e riversano nel suono il proprio turbinio personale (specifico, senza nessuna collocazione ne' aspirazione politica) e da subito sono bombardamenti a tappeto.

Dopo la prima fase che ha partorito nel 1969 un malsano esordio dannatamente morboso (THE STOOGES), ed un acido seguito furiosamente allucinato l'anno dopo (FUNHOUSE), perdono il contratto per scarse vendite con la Elektra (label avente nel roster Doors e Love, tra i tanti), nonostante le insistenze con la dirigenza per il rinnovo attuate da Danny Fields, che aveva portato la band e gli MC5 nella prestigiosa scuderia (nella quale rivestiva in pratica il ruolo di A&R: a lui si deve qualche anno dopo la scoperta dei Ramones, dei quali sarà il manager per alcuni anni) e dei quali si sentiva un po' il fratello responsabile. Insomma, nell'estate del 1971 sembrano sparire dalle cronache musicali.


Ma la creatura risorge mesi dopo -come uno zombie, data la fattanza imperante-, con un rimescolamento della formazione (per un breve periodo allargata a sei elementi!), grazie all'interessamento concreto del MainMan management, ove approdano su invito di David Bowie, innamoratosi dell'Iggy più che della band (you know Z-Iggy?), allora a livelli stellari in quanto ad ascesa e popolarità (ricordo siamo in piena esplosione glam-rock). Viene loro promesso il rilancio della carriera, con tutto il gusto della meritata rivincita...Date queste premesse, i nostri si preparano al meglio a Londra, dove si erano temporaneamente trasferiti nell'estate del 1972 (su scelta del management, che decise di allontanarli dagli Usa nel serio tentativo di rimetterli in pista), forti di un accordo con la CBS/Columbia, per concepire e registrare il terzo lp, stavolta, cosa non trascurabile, a nome IGGY & THE STOOGES. Ebbene sì, gli englishmens puntavano tutto sul frontman, il quale metterà in chiaro di prendere lui e tutto il pacchetto, cedendo giusto al compromesso della nuova denominazione.




RAW POWER esce nella primavera del 1973, dopo vari rimandi, pur essendo già pronto da diversi mesi (all'epoca la maggior parte dei gruppi faceva uscire spesso più lavori nel corso di un solo anno), ed apre col botto, con quella frustata a sangue chiamata Search &Destroy! Il pezzo punk per antonomasia: nudo e crudo, ficcante, dai volumi poco livellati spacca impianti! Già solo questa grezza gemma li avrebbe fatti entrare nella storia, un vero e proprio inno, con quella chitarra che s'inventa un solo-riff a dettar legge e Iggy che sputa il (tanto) veleno che ha in corpo, ma il resto non è da meno. La tregua sonora, ma non testuale, dell'intensa Gimme danger seduce (per quanto disperata sia), ma altri calci ben assestati negli stinchi si susseguono: Raw Power (quella col rutto d'ingresso ed il piano martellato, ok?) e la tagliente Your pretty face is going to hell (nata come Hard to beat), trascinanti loud volume r’n’r basici (proto-punk!) assicurano energia ad alto voltaggio; la lussuria allo stato puro di Penetrate, perversa quanto il suono; I need somebody rallenta con la sua tossicità blues (nella parte del refrain, se sostituite la chitarra con una tromba ne vien fuori uno standard dei '40!); la torrida Shake appeal ci attorciglia nel suo implacabile ritmo condita anche da handclaps, portando dritto a Death trip, che svela già nel titolo e nella durezza della missione (We're going down, going down...) la devastazione esistenziale in corso dei nostri figuri, concludendo questo viaggio verso la perdizione… Dicevamo, dammi pericolo: a quanto pare lo spericolato singer questo cercava. Live incandescenti, dove il nostro contorsionista col fuoco che brucia dentro si taglia, salta, rotola a terra, azzarda stage diving e crowd-surfing ante litteram...Situazioni che diventano spesso caotiche, da non sapere come e se andrà fino in fondo il concerto, performance oltremodo esasperate e fisiche, che mettono a dura prova i 4, il cui degno e rappresentativo live non poteva che essere l'estremo (anche come incisione, da bootleg qual è) METALLIC KO, uscito poi su Skydog rec nel 1976. Altro che intrattenimento e lustrini, tra bottigliate e ferite con un'attitudine realmente provocatoria, audience e band -in un clima di accerchiamento, a distanza zero - a molestarsi reciprocamente. Da rovina totale. “Dicono sia la morte ad ucciderti, ma non è così. Sono la noia e l'indifferenza a farlo” (Iggy).

I grandi mattatori sono senza dubbio il singer, qui con il suo particolare urlo cantato, e James Williamson, novelli glimmer twins come gli amatissimi Rolling Stones, unici compositori dell’lp (nonché gli unici ancora in vita), sodali anche nel consumo della droga per antonomasia dei '70. La vera scoperta è proprio Williamson (già nei Chosen Few), a vederlo un incrocio tra Jeff Beck e Keith Richards, con la sua affilata chitarra a sparare rasoiate letali, a legare con la travolgente ritmica dei rientranti Asheton bros (il collezionista di cimeli nazi Ron, passato appunto al basso, e il bello e pericoloso fratello Scott, qui in un ruolo loro malgrado più da comprimari), serrati nei 34’ in cui si sviluppano gli 8 focosi pezzi. Pur non disconoscendo il recente passato, ne accentuano la componente più violenta (sacrificando magari la vena free): invece di smussare gli angoli grezzi del suono, dono della maturità solitamente, fanno l'esatto contrario, aguzzando maggiormente gli spigoli sino a ferire, più semplici e diretti, da non lasciare scampo alcuno...Dissoluti ed allo sbando, per questo pronti a tutto e contro tutti, con la volontà di farlo fino in fondo (sulla consapevolezza avrei qualche dubbio...), caratteristica di chi non ha proprio nulla da perdere. Self destruction blues...


Altro ruolo chiave lo ricopre la copertina, che immortala un fascinoso Iggy nel -mitologico- concerto tenuto a luglio 1972 a La Scala Theatre a Londra, l'unico degli Stooges tenuto in Inghilterra nei '70, quando erano lì di casa a comporre l'album in oggetto. Questo iconico scatto fatto da Mick Rock (che raccoglierà l'intera session in un apposito libro fotografico, già foto-copertinista per Syd Barrett, David Bowie, Lou Reed tra gli altri), fu usato dalla Columbia su scelta della casa madre CBS, senza l'approvazione e all'insaputa della band e di Iggy, il quale pare l'abbia sempre odiata, al pari del monster lettering scelto graficamente, ritenuto trash...Si, bastarda la major (mica si smentiscono), ma scelta azzeccata a venire!

Dicevamo dell'alieno Bowie, personaggio chiave che in questa fase pare abbia fatto il buono e cattivo gioco influenzando il destino della band, guadagnandosi però il merito di aver insistito per la pubblicazione dell'lp, vista la riluttanza dei suoi soci, dal manager Tony De Fries alla stessa CBS. Difatti Iggy, occupatosi della produzione e missaggio, presenta un lavoro ritenuto indecente dall'etichetta, e qui Mr. Jones in prima persona si offre di remixare l'album appena completato: intervenuto per salvare il salvabile (e con mille sensi di colpa), non migliora di molto la situazione, ma anche il mix sgraziato che proporrà gioca qui un ruolo cruciale, donando al tutto una cruda ferocia. L'ultima batosta sembra l'abbia data il mastering mancato, fatto senza la dovuta cura e spinta giusta, a detta dell'Iggy anni dopo...

Insomma, nonostante i buoni presupposti iniziali, quasi tutto è andato storto, dalla scarsa visibilità al carattere poco commerciale della release (certo non un disco adatto alla massa) ma anche a causa della stessa natura dei 4, poco inclini a strategie di mercato e accondiscendenza... Un disco tutto istinto che all'epoca fu tacciato di involuzione, vendendo di fatto poco, decretando così la disfatta della band, sancita a febbraio 1974. Ma l'immediato futuro avrebbe riservato attenzioni diverse al disco ed alla band (quando si dice il futuro non è ancora stato scritto), proprio grazie all'esplosione del punk-rock '76/'77.
Nel 2010 sono stati ammessi nella R'n'R Hall of Fame: per quanto ci possa interessare l'attestato mainstream (per i seguaci già c'erano da tempo immemore), rimangono uno dei tanti esempi da rivalutazione post mortem, a sancire il giusto posto nella storia.

L'Iguana, dopo una forzata pausa per rimettersi in piedi, farà partire la carriera solista, sempre grazie alla mano gentilmente fornita dall'onnipresente Duca Bianco, che lo coadiuverà nei primi lp prima di lasciargli spiccare il volo (diciamo concretamente dopo Blah blah blah del 1986), che ben continua ancora a 73 anni, ormai onorata dallo status di leggenda vivente che tutto può e fà. Carriera solista che comunque lo consacrerà come autore di altre pietre miliari in campo rock, anche citando solo i primi due album The Idiot e Lust for life (ma io ci schiaffo pure American Caesar)...Se l'obbiettivo era diventare il perfetto frontman rock di tutti i tempi, diciamo che il plusdotato singer (nato però batterista con gli Iguanas e Prime movers) lo ha raggiunto a pieni, unanimi voti.
Si mormora che i tre Doors restanti pensarono a lui per sostituire il Morrison, tra l’altro ispiratore del nostro, seppur in una versione ancora più riottosa e lasciva, unione non andata in porto proprio per colpa del succitato problemino che lo affliggeva (un po' come infilarsi dalla padella alla brace...).

Allo scoccare del nuovo millennio cominciano a susseguirsi voci su una possibile rentrée della primitiva creatura. Proprio sull'album dell'Iguana Skull Ring del 2003, si hanno le prime avvisaglie che l'idea di rivedere gli Stooges nel nuovo secolo non era proprio fantascienza: infatti, in 4 dei 16 pezzi (peraltro dignitosi) figurano i low profile bros Asheton. Detto fatto: dopo l'apparizione al Coachella festival nell'aprile 2003, tornano ufficialmente in pista con 3/4 della prima line-up, con al basso il funambolico Mike Watt al posto del defunto Alexander, ai quali poco dopo si aggiungerà il sax del redivivo Steve MacKay, formazione che ha generato l'album THE WEIRDNESS nel 2007.
Nel 2009 ci sarà tempo anche per la porzione IGGY & STOOGES, ossia il rientro del Williamson al posto del da poco defunto Ron (1/1/2009), con annessi altri tour mondiali anche a supporto del nuovo album READY TO DIE del 2013, ma la morte di Scott nel 2014 (oltre a quella di MacKay nel 2015) ha definitivamente messo la parola fine agli Stooges 2.0., ufficializzata il 22 giugno 2016. Una reunion, diciamolo, frutto più di calcoli: per me, Iggy ha voluto in qualche modo ripagare gli altri -a mò di pensione- nei loro ultimi anni di vita, alzando moneta sonante con la rimpatriata live, garantita dal redditizio nome.

Nel 1997 proprio Iggy decise di rimettere mano remixando l'album colpevole, con risultati pressochè invariati...Se vi può interessare, nel 2010 fu pubblicato un doppio lp contenente questa e la versione originale col Bowie mix. Sempre nello stesso anno sarà la volta di Raw Power de-luxe Legacy edition, che lo accomuna ad un (buon) live dell'ottobre 1973 ad Atlanta denominato Georgia Peaches. La novità è la presenza di 2 inediti scovati per l'occasione: Doojiman è un pezzo da riscaldamento pre-concerto a dirla tutta, che si evolve in una sorta di tribale jam voodoo; l'altro è il più selvaggio Head On, già noto ai cultori, in una versione più strutturata per quanto catturata durante le prove. Non credo di offendere nessuno dicendo che entrambi nulla aggiungono alla folgorazione che potranno indurvi gli 8 della storica scaletta.
Per i più esigenti esiste anche la super-deluxe edition, che porta in dote ben 3 cd (di cui uno con rarità, outtakes e alternative versions), 1 dvd, il 7” Raw Power/Search & destroy nella riproduzione made in Japan, 5 stampe apposite più corposo libretto 48 pagine, acquistabile sino a qualche anno fa solo dal sito della band. Quella che si dice l'edizione definitiva (delle circa 150 versioni indicate su Discogs).

Materiale interessante per completisti (come me, of course): la raccolta demo 1972-73 Rough power (con la specifica indicazione “Guaranteed Bowie-free!”), uscito nel 1994 per la Bomp del compianto amico e fan Greg Shaw (che inaugurò intorno al 1991 una apposita serie per l'etichetta chiamata The Iguana Chronicles, con svariati titoli fuori), i piuttosto simili More Power e Dirty power, accanto al dettagliato box Heavy Liquid (Easy Action rec.) e Rare Power del 2018, presentati tutti con inediti (confrontarne sempre la veridicità: i nostri erano a corto di moneta quindi sembra abbiano venduto e rivenduto la stessa roba a più persone nei '70), oltre ad una pletora di dischi borderline tra stampe bootleg e semi-ufficiali.



Un altro disco da leggenda (che-ve-lo-dico-a-fà: 3 capolavori su 3), per impatto e portata pesante, quella devastata/devastante grazia fonte primaria di abbeveraggio e santino del punk '77, tuttora citato da band note e meno note, che li hanno coverizzati indistintamente (spesso in maniera filologica: dai Sex Pistols/Vicious, Guns'n'Roses, Dead Boys, Dictators, Damned, ai Samiam, Hard-Ons passando per Juliette Licks, Emanuel, ed un milione di altre). In giro si trovano alcuni tribute album, dei quali segnalo l'interessante -nonché uno dei primi ad uscire- tributo australiano Hard To Beat (Twenty-One Stooges Killers) del 1988 in doppio lp per la Au go go rec: ascoltate cosa son capaci di fare i nuovi adepti dalla terra dei canguri (da sempre ricettiva al culto detroitiano), caricati a molla nel cercare di avvicinarsi all'animalesca essenza sprigionata dagli originali.
Se volete sentire una delle band che secondo me ha compreso ed assimilato in pieno il credo dei 4 rivolgetevi agli inglesi Thee Hypnotics, i loro eredi trasposti negli anni '90.
Altro noto fan della band sicuramente é Jim Jarmush, regista ed ideatore del gran bel dvd Gimme Danger, il documentario sulla band uscito nel 2017, che copre brillantemente l'intera carriera dei coinvolti.

Ha ragione Duff McKagan, quando afferma che Raw Power dovrebbe essere usato come unità di misura contro il cattivo gusto della scena rock. Un suono abrasivo, sfrontato, realmente urticante nel suo essere violento come pochissimi fino ad allora, credibile e viscerale rock ‘n roll stradaiolo, con quella sporcizia conturbante lato bassifondi... Qui la lezione è di quelle che lasciano il segno, nella testa, nel cuore, nel fisico (e nelle vene...): Raw power is more than soul, has got a son called (punk) r’n’r! Lunga vita.

P.S: Proprio questo disco fornì nel 1981 il nome -adatto!- ad una band di Poviglio (RE) a noi molto cara, ancora oggi attiva tra dischi e palchi nostrani e internazionali, la più longeva del nostro HC...