Continuando
a parlare di numeri primi, qui sviscero il contenuto di un
altro esempio da top personale.
Etica,
estetica e suono: l’atto di nascita ufficiale del punk-rock. Questo
rappresenta RAW POWER per chi scrive. D'accordo, prima di loro
c'erano stati altri forsennati esempi come Seeds, Sonics, Deviants,
gli stessi amici fraterni MC5, le seminali garage band minori
degli oscuri sotterranei 60's riesumate dal buon Lenny Kaye nelle
storiche comp. Nuggets... Tutto vero, ma senza che nessuno di
questi si fosse mai avvicinato al nichilismo espresso in
musica (e non solo) da questi giovani disadattati. Ribadisco,
questo rimane, se non il primo, di sicuro l'esempio massimo di punk
prima che lo stesso venisse codificato come genere, anche solo per
mantenersi a livello puramente musicale, con una sua fisionomia e
personalità indipendente. Walk on the real wild side of life...
“Il
paradiso era Detroit, nel Michigan” disse
un tale Lester Bangs...
Gli
Stooges nascono (come Psychedelic Stooges, nei primi concerti)
nel 1967 ad Ann Arbor, nell'area della motorcity Detroit, città
questa che ha sempre mostrato un carattere alquanto instabile
(l'alienazione da catena di montaggio?) quindi poco incline
all'imperante flower power in voga all'epoca, un posto molto più
intriso di duro realismo quotidiano a scontrarsi con le astrazioni
hippie-filosofiche tutto peace and love e sballi di
espansione mentale del periodo. I nostri, James Newell
Osterberg Jr. ribattezzatosi Iggy Pop, i fratelli Ron
(chitarra) e Scott (batteria) Asheton e Dave
Alexander (basso), non rimangono immuni dal contesto sociale (e
viziacci...) e riversano nel suono il proprio turbinio personale
(specifico, senza nessuna collocazione ne' aspirazione politica) e da
subito sono bombardamenti a tappeto.
Dopo
la prima fase che ha partorito nel 1969 un malsano esordio
dannatamente morboso (THE STOOGES), ed un acido seguito
furiosamente allucinato l'anno dopo (FUNHOUSE), perdono
il contratto per scarse vendite con la Elektra (label avente nel
roster Doors e Love, tra i tanti), nonostante le insistenze con la
dirigenza per il rinnovo attuate da Danny Fields, che aveva
portato la band e gli MC5 nella prestigiosa scuderia (nella quale
rivestiva in pratica il ruolo di A&R: a lui si deve qualche anno
dopo la scoperta dei Ramones, dei quali sarà il manager per
alcuni anni) e dei quali si sentiva un po' il fratello responsabile. Insomma, nell'estate del 1971 sembrano sparire dalle cronache musicali.
Ma
la creatura risorge mesi dopo -come uno zombie, data la fattanza
imperante-, con un rimescolamento della formazione (per un breve
periodo allargata a sei elementi!), grazie all'interessamento
concreto del MainMan management, ove approdano su invito di David
Bowie, innamoratosi dell'Iggy più che della band (you know Z-Iggy?),
allora a livelli stellari in quanto ad ascesa e popolarità (ricordo
siamo in piena esplosione glam-rock). Viene loro promesso il rilancio
della carriera, con tutto il gusto della meritata rivincita...Date
queste premesse, i nostri si preparano al meglio a Londra, dove si
erano temporaneamente trasferiti nell'estate del 1972 (su scelta del
management, che decise di allontanarli dagli Usa nel serio tentativo
di rimetterli in pista), forti di un accordo con la CBS/Columbia, per
concepire e registrare il terzo lp, stavolta, cosa non trascurabile,
a nome IGGY & THE STOOGES. Ebbene sì, gli englishmens
puntavano tutto sul frontman, il quale metterà in chiaro di prendere
lui e tutto il pacchetto, cedendo giusto al compromesso della nuova
denominazione.
RAW
POWER esce nella primavera del 1973, dopo vari
rimandi, pur essendo già pronto da diversi mesi (all'epoca la
maggior parte dei gruppi faceva uscire spesso più lavori nel corso
di un solo anno), ed apre col botto, con quella frustata a
sangue chiamata Search &Destroy! Il pezzo
punk per antonomasia: nudo e crudo, ficcante, dai volumi poco
livellati spacca impianti! Già solo questa grezza gemma li avrebbe
fatti entrare nella storia, un vero e proprio inno, con quella
chitarra che s'inventa un solo-riff a dettar legge e Iggy che sputa
il (tanto) veleno che ha in corpo, ma il resto non è da meno. La
tregua sonora, ma non testuale, dell'intensa Gimme danger
seduce (per quanto disperata sia), ma altri calci ben
assestati negli stinchi si susseguono: Raw Power
(quella col rutto d'ingresso ed il piano martellato, ok?)
e la tagliente Your pretty face is going to hell (nata
come Hard to beat), trascinanti loud volume r’n’r
basici (proto-punk!) assicurano energia ad alto voltaggio; la
lussuria allo stato puro di Penetrate, perversa quanto
il suono; I need somebody rallenta con la sua tossicità
blues (nella parte del refrain, se sostituite la chitarra con una
tromba ne vien fuori uno standard dei '40!); la torrida Shake
appeal ci attorciglia nel suo implacabile ritmo condita anche
da handclaps, portando dritto a Death trip, che svela
già nel titolo e nella durezza della missione (We're going
down, going down...) la devastazione esistenziale in corso
dei nostri figuri, concludendo questo viaggio verso la perdizione…
Dicevamo, dammi pericolo: a quanto pare lo spericolato
singer questo cercava. Live incandescenti, dove il nostro
contorsionista col fuoco che brucia dentro si taglia,
salta, rotola a terra, azzarda stage diving e crowd-surfing ante
litteram...Situazioni che diventano spesso caotiche, da non sapere
come e se andrà fino in fondo il concerto, performance oltremodo
esasperate e fisiche, che mettono a dura prova i 4, il cui degno e
rappresentativo live non poteva che essere l'estremo (anche come
incisione, da bootleg qual è) METALLIC KO, uscito poi
su Skydog rec nel 1976. Altro che intrattenimento e lustrini, tra
bottigliate e ferite con un'attitudine realmente provocatoria,
audience e band -in un clima di accerchiamento, a distanza zero - a
molestarsi reciprocamente. Da rovina totale. “Dicono sia la
morte ad ucciderti, ma non è così. Sono la noia e l'indifferenza a
farlo” (Iggy).
I
grandi mattatori sono senza dubbio il singer, qui con il suo
particolare urlo cantato, e James Williamson, novelli
glimmer twins come gli amatissimi Rolling
Stones, unici compositori dell’lp (nonché gli unici ancora in
vita), sodali anche nel consumo della droga per antonomasia dei '70.
La vera scoperta è proprio Williamson (già nei Chosen Few), a
vederlo un incrocio tra Jeff Beck e Keith Richards, con la sua
affilata chitarra a sparare rasoiate letali, a legare con la
travolgente ritmica dei rientranti Asheton bros (il
collezionista di cimeli nazi Ron, passato appunto al basso, e
il bello e pericoloso fratello Scott, qui in un ruolo loro
malgrado più da comprimari), serrati nei 34’ in cui si sviluppano
gli 8 focosi pezzi. Pur non disconoscendo il recente passato, ne
accentuano la componente più violenta (sacrificando magari la vena
free): invece di smussare gli angoli grezzi del suono, dono
della maturità solitamente, fanno l'esatto contrario, aguzzando
maggiormente gli spigoli sino a ferire, più semplici e diretti, da
non lasciare scampo alcuno...Dissoluti ed allo sbando, per questo
pronti a tutto e contro tutti, con la volontà di farlo fino in fondo
(sulla consapevolezza avrei qualche dubbio...), caratteristica di chi
non ha proprio nulla da perdere. Self destruction blues...
Altro
ruolo chiave lo ricopre la copertina, che immortala un fascinoso Iggy
nel -mitologico- concerto tenuto a luglio 1972 a La Scala Theatre
a Londra, l'unico degli Stooges tenuto in Inghilterra nei '70, quando
erano lì di casa a comporre l'album in oggetto. Questo iconico
scatto fatto da Mick Rock (che raccoglierà l'intera session in un
apposito libro fotografico, già foto-copertinista per Syd Barrett,
David Bowie, Lou Reed tra gli altri), fu usato dalla Columbia su
scelta della casa madre CBS, senza l'approvazione e all'insaputa
della band e di Iggy, il quale pare l'abbia sempre odiata, al pari
del monster lettering scelto graficamente, ritenuto
trash...Si, bastarda la major (mica si smentiscono), ma scelta
azzeccata a venire!
Dicevamo
dell'alieno Bowie, personaggio chiave che in questa fase pare
abbia fatto il buono e cattivo gioco influenzando il destino della
band, guadagnandosi però il merito di aver insistito per la
pubblicazione dell'lp, vista la riluttanza dei suoi soci, dal manager
Tony De Fries alla stessa CBS. Difatti Iggy, occupatosi della
produzione e missaggio, presenta un lavoro ritenuto indecente
dall'etichetta, e qui Mr. Jones in prima persona si offre di remixare
l'album appena completato: intervenuto per salvare il salvabile (e
con mille sensi di colpa), non migliora di molto la situazione, ma
anche il mix sgraziato che proporrà gioca qui un ruolo cruciale,
donando al tutto una cruda ferocia. L'ultima batosta sembra l'abbia
data il mastering mancato, fatto senza la dovuta cura e spinta
giusta, a detta dell'Iggy anni dopo...
Insomma,
nonostante i buoni presupposti iniziali, quasi tutto è andato
storto, dalla scarsa visibilità al carattere poco commerciale della
release (certo non un disco adatto alla massa) ma anche a causa della
stessa natura dei 4, poco inclini a strategie di mercato e
accondiscendenza... Un disco tutto istinto che all'epoca fu tacciato
di involuzione, vendendo di fatto poco, decretando così la disfatta
della band, sancita a febbraio 1974. Ma l'immediato futuro avrebbe
riservato attenzioni diverse al disco ed alla band (quando si dice il
futuro non è ancora stato scritto), proprio grazie
all'esplosione del punk-rock '76/'77.
Nel
2010 sono stati ammessi nella R'n'R Hall of Fame: per quanto ci possa
interessare l'attestato mainstream (per i seguaci già c'erano da
tempo immemore), rimangono uno dei tanti esempi da rivalutazione post
mortem, a sancire il giusto posto nella storia.
L'Iguana,
dopo una forzata pausa per rimettersi in piedi, farà partire la
carriera solista, sempre grazie alla mano gentilmente fornita
dall'onnipresente Duca Bianco, che lo coadiuverà nei primi lp
prima di lasciargli spiccare il volo (diciamo concretamente dopo Blah
blah blah del 1986), che ben continua ancora a 73 anni, ormai
onorata dallo status di leggenda vivente che tutto può e fà.
Carriera solista che comunque lo consacrerà come autore di altre
pietre miliari in campo rock, anche citando solo i primi due album
The Idiot e Lust for life (ma io ci
schiaffo pure American Caesar)...Se l'obbiettivo
era diventare il perfetto frontman rock di tutti i tempi,
diciamo che il plusdotato singer (nato però batterista con
gli Iguanas e Prime movers) lo ha raggiunto a pieni,
unanimi voti.
Si
mormora che i tre Doors restanti pensarono a lui per sostituire il
Morrison, tra l’altro ispiratore del nostro, seppur in una versione
ancora più riottosa e lasciva, unione non andata in porto proprio per
colpa del succitato problemino che lo affliggeva (un po' come
infilarsi dalla padella alla brace...).
Allo
scoccare del nuovo millennio cominciano a susseguirsi voci su una
possibile rentrée della primitiva creatura. Proprio sull'album
dell'Iguana Skull Ring del 2003, si hanno le prime
avvisaglie che l'idea di rivedere gli Stooges nel nuovo secolo non
era proprio fantascienza: infatti, in 4 dei 16 pezzi (peraltro
dignitosi) figurano i low profile bros Asheton. Detto fatto:
dopo l'apparizione al Coachella festival nell'aprile 2003, tornano
ufficialmente in pista con 3/4 della prima line-up, con al basso il
funambolico Mike Watt al posto del defunto Alexander, ai quali
poco dopo si aggiungerà il sax del redivivo Steve MacKay,
formazione che ha generato l'album THE WEIRDNESS nel
2007.
Nel
2009 ci sarà tempo anche per la porzione IGGY & STOOGES, ossia
il rientro del Williamson al posto del da poco defunto Ron
(1/1/2009), con annessi altri tour mondiali anche a supporto del
nuovo album READY TO DIE del 2013, ma la morte di Scott
nel 2014 (oltre a quella di MacKay nel 2015) ha definitivamente messo
la parola fine agli Stooges 2.0., ufficializzata il 22 giugno 2016.
Una reunion, diciamolo, frutto più di calcoli: per me, Iggy ha
voluto in qualche modo ripagare gli altri -a mò di pensione- nei
loro ultimi anni di vita, alzando moneta sonante con la rimpatriata
live, garantita dal redditizio nome.
Nel
1997 proprio Iggy decise di rimettere mano remixando l'album
colpevole, con risultati pressochè invariati...Se vi può
interessare, nel 2010 fu pubblicato un doppio lp contenente questa e
la versione originale col Bowie mix. Sempre nello stesso anno sarà
la volta di Raw Power de-luxe Legacy edition,
che lo accomuna ad un (buon) live dell'ottobre 1973 ad Atlanta
denominato Georgia Peaches. La novità è la presenza
di 2 inediti scovati per l'occasione: Doojiman è un
pezzo da riscaldamento pre-concerto a dirla tutta, che si evolve in
una sorta di tribale jam voodoo; l'altro è il più selvaggio Head
On, già noto ai cultori, in una versione più
strutturata per quanto catturata durante le prove. Non credo di
offendere nessuno dicendo che entrambi nulla aggiungono alla
folgorazione che potranno indurvi gli 8 della storica scaletta.
Per
i più esigenti esiste anche la super-deluxe edition, che
porta in dote ben 3 cd (di cui uno con rarità, outtakes e
alternative versions), 1 dvd, il 7” Raw Power/Search &
destroy nella riproduzione made in Japan, 5 stampe apposite più
corposo libretto 48 pagine, acquistabile sino a qualche anno fa solo
dal sito della band. Quella che si dice l'edizione definitiva (delle
circa 150 versioni indicate su Discogs).
Materiale
interessante per completisti (come me, of course): la raccolta demo
1972-73 Rough power (con la specifica indicazione “Guaranteed
Bowie-free!”), uscito nel 1994 per la Bomp del compianto amico
e fan Greg Shaw (che inaugurò intorno al 1991 una apposita serie per
l'etichetta chiamata The Iguana Chronicles, con svariati
titoli fuori), i piuttosto simili More Power e Dirty power,
accanto al dettagliato box Heavy Liquid (Easy Action rec.) e
Rare Power del 2018, presentati tutti con inediti
(confrontarne sempre la veridicità: i nostri erano a corto di moneta
quindi sembra abbiano venduto e rivenduto la stessa roba a più
persone nei '70), oltre ad una pletora di dischi borderline
tra stampe bootleg e semi-ufficiali.
Un altro disco da leggenda
(che-ve-lo-dico-a-fà: 3 capolavori su 3), per impatto e portata
pesante, quella devastata/devastante grazia fonte
primaria di abbeveraggio e santino del punk '77, tuttora citato da
band note e meno note, che li hanno coverizzati indistintamente
(spesso in maniera filologica: dai Sex Pistols/Vicious, Guns'n'Roses,
Dead Boys, Dictators, Damned, ai Samiam, Hard-Ons passando per
Juliette Licks, Emanuel, ed un milione di altre). In giro si trovano
alcuni tribute album, dei quali segnalo l'interessante -nonché uno
dei primi ad uscire- tributo australiano Hard
To Beat (Twenty-One Stooges Killers) del 1988 in
doppio lp per la Au go go rec: ascoltate cosa son capaci di fare i
nuovi adepti dalla terra dei canguri (da sempre ricettiva al culto
detroitiano), caricati a molla nel cercare di avvicinarsi
all'animalesca essenza sprigionata dagli originali.
Se
volete sentire una delle band che secondo me ha compreso ed
assimilato in pieno il credo dei 4 rivolgetevi agli inglesi Thee
Hypnotics, i loro eredi trasposti negli anni '90.
Altro
noto fan della band sicuramente é Jim Jarmush, regista ed ideatore
del gran bel dvd Gimme Danger, il documentario sulla
band uscito nel 2017, che copre brillantemente l'intera carriera dei
coinvolti.
Ha
ragione Duff McKagan, quando afferma che Raw Power
dovrebbe essere usato come unità di misura contro il cattivo gusto
della scena rock. Un suono abrasivo, sfrontato, realmente urticante
nel suo essere violento come pochissimi fino ad allora, credibile e
viscerale rock ‘n roll stradaiolo, con quella sporcizia
conturbante lato bassifondi... Qui la lezione è di quelle che
lasciano il segno, nella testa, nel cuore, nel fisico (e nelle
vene...): Raw power is more than soul, has got a son called
(punk) r’n’r! Lunga vita.
P.S:
Proprio questo disco fornì nel 1981 il nome -adatto!- ad una band di
Poviglio (RE) a noi molto cara, ancora oggi attiva tra dischi e
palchi nostrani e internazionali, la più longeva del nostro HC...
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