lunedì 8 luglio 2024

ACROSS Blackout (lp 2024 diy alliance)

 


Dopo il gran bel mcd d'esordio DarkCore del 2019 (da me recensito su Nikilzine) e lo split ep 12" con i veterani punx conterranei Meat for Dogs, passo in rassegna l'animato ritorno dei cinque calabresi, alle prese con il loro primo lp (in 300 copie). 

Nove brani dalle melodie (spesso amare) che non sbilanciano l'irruenza HC esposta, scosse raschiate da approccio stradaiolo memore dei trascorsi Oi! di alcuni membri, che si riverbera fondamentalmente in certe timbriche vocali e inclinazioni dei cori, che assicurano scorrevolezza così come si sussegue vivace l'ascolto del blocco. 

Ci si accende subito con l'infervorata Hillsborough, spietata prestanza che non diminuisce con Uragano e Le Nuvole, guizzanti nel loro essere sfuggenti, i batti e ribatti di Blackout con la sua tempesta emotiva, la galvanizzante Immagini artificiali dal serrato costrutto, avvincente tanto quanto Viv, dalla vena più street punk -non lontano da Gli Ultimi- e con un testo da far tremare le gambe, combinazione di durezza e romanticismo (ispirata e dedicata a Vivienne Westwood), a contendersi l'acme del vinile con la sensibilità adirata di Un altro treno. La reprise di Didascalia dallo split sopracitato, qui in acustico con la voce del buon Sergio Milani, non può che ritrasmettere magicamente emozioni d'antan cioè quelle racchiuse nei solchi dei miei Kina, per animo e inflessione (e non solo per via della sua presenza), col finale affidato al fremito disperante di La Palude

Suono coeso e conciso (mai convulso), ben suonato e registrato, ottima la costruzione dei brani, articolati nel loro andamento ritmico che certo non ama la staticità, assortendo la proposta pur nei confini HC/punk, con testi dallo spietato realismo -talvolta allusivi-, soppesato alla luce delle fratture del quotidiano, dei rapporti personali e ciò che vediamo di spaesante dinnanzi a noi, sfogo che però non vuole cancellare quanto con caparbietà s'è costruito, piuttosto inteso come impietosa presa d'atto esistenziale. A forza di sbatterci la testa, il muro si romperà! 

Blackout si segnala come l'ennesimo, convincente gesto dal Sud in movimento; un gran bel passo avanti per gli Across, una rabbia maturata da identità non allineate che non ci tengono affatto a rientrare nei ranghi e tali vogliono rimanere, materia viva su cui modellare la propria vita. 

Voglio sentire un rumore che buchi il silenzio: se cercate un disco sbarazzino, rivolgetevi altrove.



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lunedì 22 aprile 2024

S.F.C. Cuenzo cafe (cd 2023 - d.i.y connection)

 


Nell'immaginario collettivo musicale ci sono connessioni indelebili diventati automatismi negli anni, come se l'area geografica, meglio ancora se specifica, diventasse un tutt'uno con il suono, interscambiando pregi e difetti, come una emanazione l'una dell'altra, e non solo dal punto di vista artistico (eliminando dal contesto cui si parla questioni campanilistiche o bandiere che dir si voglia)...Mi spiego meglio: se citiamo Liverpool, i Beatles ci vengono in automatico (pur non essendo magari fan del gruppo), come U2 riporta a Dublino, vero? Dal canto mio, traduco Londra con Sex Pistols e punk 77, con Manchester penso d'acchito ai Joy Division e Factory come Bristol sovviene trip hop; Los Angeles diventa per me la casa degli X al pari di NY(HC!) con Lou Reed /Velvet Underground e Ramones; se mi parlano di Goteborg vado precisamente alla scuola swedish death e Tampa a quella deathmetal della prima ora. Brasile? Naturalmente Sepultura e Ratos de Porao, la Bay Area culla del thrash, l'Islanda è Bjork, Washington = Dischord, per non dire cosa evoca la sola pronuncia di Seattle. In Italia? Beh, Pino Daniele è Napoli, così come Diaframma e Litfiba sono Firenze e CCCP rappresentano l'Emilia (paranoica)...Ma scendendo nell'underground del nostro amato campo HC/punk, le cose non cambiano. Aosta significa Kina, come Alessandria stà per Peggio Punx; se mi parlate di Torino immagino i Negazione e Rough (oltre ad una caterva di altri esponenti), Bologna la rossa è Nabat così come naturale l'equivalenza Wretched e Crash Box = Virus ergo Milano '80, Gorizia è Eu's Arse come Pisa fa CCM, Roma è Banda Bassotti e Bloody Riot. Senza dimenticare i miei più immediati dintorni con i pionieri Chain Reaction, tutt'uno con Bari, e Fasano DC = giro Rumble Fish/Maizza con tutti gli amici esponenti. Bene, tutto questo per dire cosa? Semplice e subito svelato: SFC sta a Taranto come Taranto sta agli SFC, punto e basta.

Un'appartenenza indissolubile, un vero legame che contempla amore & odio, poichè senza l'uno non esiste l'altro, a fornire una possibile chiave di lettura del carattere reciproco, quel disincanto senza arrendevolezza di chi non si lascia schiacciare dall'ambiente circostante, dove si riesce comunque a trovare un proprio equilibrio, per quanto scombinato dalle mille problematiche con cui convivere. Sì, qui la territorialità gioca un fattore chiave nell'esperienza ed evoluzione stessa del gruppo (per quanto agli inizi sparsi in varie parti d'Italie ma dal cordone ombelicale ben saldo a Poisonville), tanto influisce anche nelle tematiche testuali, forse più stringenti su alcuni argomenti in quanto vissute quotidianamente sulla pelle. Con ben 33 primavere sul groppone, la band s'è fatta quelle spalle larghe in grado di abbattere qualsivoglia ostacolo si ponga innanzi: credo ormai che l'unico vero pericolo sia rappresentato unicamente da loro stessi!

Quando li si dava per spacciati risorgevano come una fenice più forti di prima, quando ci si chiedeva se erano spariti subito li sentivi belli ringalluzziti a menare con un nuovo disco; i live rodati come una oliata macchina che punta dritto, che se non stacchi loro l'alimentazione diventa colonna sonora eterna tanto rimarrebbero sulle assi traballanti del posto, meglio se occupato, loro naturale base. Il perno attorno a cui ruota l'intera storia è sempre Enrico De Vincentiis, capo banda che di volta in volta con nuovi mates, qui con la stessa solida lineup (Mauro e Davide alle chitarre, la furia Valerio alla batteria) del gran 7"ep Jonic deathrow manifesto, ci propina un'altra rovinosa novella siglata che, pur sapendo già cosa ti aspetta, è sempre pronto a stupirti, sottoscritto incluso che lo conosce personalmente dal 1995! Ormai nelle lande ioniche li si riconosce come fratelli maggiori, attestato di uno affezionato plateau sempre disponibile, anche fuori nido, tanto è vero che il nuovo parto raduna una gran bella lista di amici a dar mano da ogni parte dello stivale.

Cuenzo Cafè, questo il titolo, gira bene con le sue storie, un treno in corsa che dallo stomaco coinvolge l'intelletto...Regole d'ingaggio? HC punk energetico dalla formidabile tempra che si mangia in un sol colpo il tempo trascorso dai '90, che guarda agli USA facendo la spola con l'Italia in un continuo gioco di andirivieni; un frullato multi saporito che recupera percentuali ska e scatti dagli umori rockin'core, sempre con quella visione ruvidamente melodica e sgangherata disinvoltura che sfoggiano sin dagli inizi

Già dalle prime due tracce Starkidz e Mentre tutto brucia (perversa disamina su TA appunto, dove si versa bile sopra le macerie, beffardi fino alla fine) si intuisce che l'ispirazione è ai massimi livelli, come se l'inquietudine fornisse il pretesto per scatenare una smodata festa -foss'anche senza ritorno-, dove ve lo anticipo sarà difficile rifiatare. L'inserimento dei fiati in C.O.N.F.U.S.E.D. dona quella marcia in più ad un forsennato pezzo ska-core di per sè da top, la contagiosa I'm shaking fa prevedere grande mischia live, tanto è in grado di impadronirsi del centro nervoso, Busted e Whole lot of nothing rincarano la dose con quella rustica aria familiare della casa; l'asciutto carattere delle stilettate Il mostro e Best Fiend giocano al tira e molla, la risoluta Room service torrenziale come i Suicidal Tendencies dell'esordio e l'irresistibile title track Cuenzo Cafe rinnova il patto spettacolare col dialetto locale, complice l'alternanza nel cantato con bro Fido Guido, piegando così il genere a propria somiglianza, generando un immediato classico. A chiudere in acustico Amore e Realtà, dove il nostromo Enrico, col suo ghigno cantato ridendo e fischiettando ci lascia l'amletico dubbio del racconto autobiografico o di fantasia...

13 brani che spintonano e sgomitano facendosi strada nel fare strike, strumenti che dialogano a puntino caricati a palla in un tutt'uno volto a dare forma e sostanza al pensato, fusione di energie corrisposte da restituire sotto forma di emozioni, che la travolgente registrazione frontale -tanto sembra di averceli nella stanza d'ascolto- made in SudEststudio da Fabio Dubio cattura pienamente. Grafica super tanto quanto l'underground team all'opera: artwork invasione dei mutanti di King Rat, disegni interni di Gigio Bonizio (già autore della stupenda copertina di Jonic...), il tutto assemblato da Mr. Porro Dario Ursino. Amo TUTTI i loro dischi (chi più, chi meno) ma stavolta mi sbilancio sicuro nel dire che, con l'arrembante Prigioni (l'album simbolo dell'HC jonico), Cuenzo Cafè tocca il picco della SFC story. Lunga vita!


sfctarantohc91@gmail.com