lunedì 8 luglio 2024

ACROSS Blackout (lp 2024 diy alliance)

 


Dopo il gran bel mcd d'esordio DarkCore del 2019 (da me recensito su Nikilzine) e lo split ep 12" con i veterani punx conterranei Meat for Dogs, passo in rassegna l'animato ritorno dei cinque calabresi, alle prese con il loro primo lp (in 300 copie). 

Nove brani dalle melodie (spesso amare) che non sbilanciano l'irruenza HC esposta, scosse raschiate da approccio stradaiolo memore dei trascorsi Oi! di alcuni membri, che si riverbera fondamentalmente in certe timbriche vocali e inclinazioni dei cori, che assicurano scorrevolezza così come si sussegue vivace l'ascolto del blocco. 

Ci si accende subito con l'infervorata Hillsborough, spietata prestanza che non diminuisce con Uragano e Le Nuvole, guizzanti nel loro essere sfuggenti, i batti e ribatti di Blackout con la sua tempesta emotiva, la galvanizzante Immagini artificiali dal serrato costrutto, avvincente tanto quanto Viv, dalla vena più street punk -non lontano da Gli Ultimi- e con un testo da far tremare le gambe, combinazione di durezza e romanticismo (ispirata e dedicata a Vivienne Westwood), a contendersi l'acme del vinile con la sensibilità adirata di Un altro treno. La reprise di Didascalia dallo split sopracitato, qui in acustico con la voce del buon Sergio Milani, non può che ritrasmettere magicamente emozioni d'antan cioè quelle racchiuse nei solchi dei miei Kina, per animo e inflessione (e non solo per via della sua presenza), col finale affidato al fremito disperante di La Palude

Suono coeso e conciso (mai convulso), ben suonato e registrato, ottima la costruzione dei brani, articolati nel loro andamento ritmico che certo non ama la staticità, assortendo la proposta pur nei confini HC/punk, con testi dallo spietato realismo -talvolta allusivi-, soppesato alla luce delle fratture del quotidiano, dei rapporti personali e ciò che vediamo di spaesante dinnanzi a noi, sfogo che però non vuole cancellare quanto con caparbietà s'è costruito, piuttosto inteso come impietosa presa d'atto esistenziale. A forza di sbatterci la testa, il muro si romperà! 

Blackout si segnala come l'ennesimo, convincente gesto dal Sud in movimento; un gran bel passo avanti per gli Across, una rabbia maturata da identità non allineate che non ci tengono affatto a rientrare nei ranghi e tali vogliono rimanere, materia viva su cui modellare la propria vita. 

Voglio sentire un rumore che buchi il silenzio: se cercate un disco sbarazzino, rivolgetevi altrove.



www.facebook.com/across.cs

www.instagram.com/acrosshardcore

http://acrosshardcore.bandcamp.com





lunedì 22 aprile 2024

S.F.C. Cuenzo cafe (cd 2023 - d.i.y connection)

 


Nell'immaginario collettivo musicale ci sono connessioni indelebili diventati automatismi negli anni, come se l'area geografica, meglio ancora se specifica, diventasse un tutt'uno con il suono, interscambiando pregi e difetti, come una emanazione l'una dell'altra, e non solo dal punto di vista artistico (eliminando dal contesto cui si parla questioni campanilistiche o bandiere che dir si voglia)...Mi spiego meglio: se citiamo Liverpool, i Beatles ci vengono in automatico (pur non essendo magari fan del gruppo), come U2 riporta a Dublino, vero? Dal canto mio, traduco Londra con Sex Pistols e punk 77, con Manchester penso d'acchito ai Joy Division e Factory come Bristol sovviene trip hop; Los Angeles diventa per me la casa degli X al pari di NY(HC!) con Lou Reed /Velvet Underground e Ramones; se mi parlano di Goteborg vado precisamente alla scuola swedish death e Tampa a quella deathmetal della prima ora. Brasile? Naturalmente Sepultura e Ratos de Porao, la Bay Area culla del thrash, l'Islanda è Bjork, Washington = Dischord, per non dire cosa evoca la sola pronuncia di Seattle. In Italia? Beh, Pino Daniele è Napoli, così come Diaframma e Litfiba sono Firenze e CCCP rappresentano l'Emilia (paranoica)...Ma scendendo nell'underground del nostro amato campo HC/punk, le cose non cambiano. Aosta significa Kina, come Alessandria stà per Peggio Punx; se mi parlate di Torino immagino i Negazione e Rough (oltre ad una caterva di altri esponenti), Bologna la rossa è Nabat così come naturale l'equivalenza Wretched e Crash Box = Virus ergo Milano '80, Gorizia è Eu's Arse come Pisa fa CCM, Roma è Banda Bassotti e Bloody Riot. Senza dimenticare i miei più immediati dintorni con i pionieri Chain Reaction, tutt'uno con Bari, e Fasano DC = giro Rumble Fish/Maizza con tutti gli amici esponenti. Bene, tutto questo per dire cosa? Semplice e subito svelato: SFC sta a Taranto come Taranto sta agli SFC, punto e basta.

Un'appartenenza indissolubile, un vero legame che contempla amore & odio, poichè senza l'uno non esiste l'altro, a fornire una possibile chiave di lettura del carattere reciproco, quel disincanto senza arrendevolezza di chi non si lascia schiacciare dall'ambiente circostante, dove si riesce comunque a trovare un proprio equilibrio, per quanto scombinato dalle mille problematiche con cui convivere. Sì, qui la territorialità gioca un fattore chiave nell'esperienza ed evoluzione stessa del gruppo (per quanto agli inizi sparsi in varie parti d'Italie ma dal cordone ombelicale ben saldo a Poisonville), tanto influisce anche nelle tematiche testuali, forse più stringenti su alcuni argomenti in quanto vissute quotidianamente sulla pelle. Con ben 33 primavere sul groppone, la band s'è fatta quelle spalle larghe in grado di abbattere qualsivoglia ostacolo si ponga innanzi: credo ormai che l'unico vero pericolo sia rappresentato unicamente da loro stessi!

Quando li si dava per spacciati risorgevano come una fenice più forti di prima, quando ci si chiedeva se erano spariti subito li sentivi belli ringalluzziti a menare con un nuovo disco; i live rodati come una oliata macchina che punta dritto, che se non stacchi loro l'alimentazione diventa colonna sonora eterna tanto rimarrebbero sulle assi traballanti del posto, meglio se occupato, loro naturale base. Il perno attorno a cui ruota l'intera storia è sempre Enrico De Vincentiis, capo banda che di volta in volta con nuovi mates, qui con la stessa solida lineup (Mauro e Davide alle chitarre, la furia Valerio alla batteria) del gran 7"ep Jonic deathrow manifesto, ci propina un'altra rovinosa novella siglata che, pur sapendo già cosa ti aspetta, è sempre pronto a stupirti, sottoscritto incluso che lo conosce personalmente dal 1995! Ormai nelle lande ioniche li si riconosce come fratelli maggiori, attestato di uno affezionato plateau sempre disponibile, anche fuori nido, tanto è vero che il nuovo parto raduna una gran bella lista di amici a dar mano da ogni parte dello stivale.

Cuenzo Cafè, questo il titolo, gira bene con le sue storie, un treno in corsa che dallo stomaco coinvolge l'intelletto...Regole d'ingaggio? HC punk energetico dalla formidabile tempra che si mangia in un sol colpo il tempo trascorso dai '90, che guarda agli USA facendo la spola con l'Italia in un continuo gioco di andirivieni; un frullato multi saporito che recupera percentuali ska e scatti dagli umori rockin'core, sempre con quella visione ruvidamente melodica e sgangherata disinvoltura che sfoggiano sin dagli inizi

Già dalle prime due tracce Starkidz e Mentre tutto brucia (perversa disamina su TA appunto, dove si versa bile sopra le macerie, beffardi fino alla fine) si intuisce che l'ispirazione è ai massimi livelli, come se l'inquietudine fornisse il pretesto per scatenare una smodata festa -foss'anche senza ritorno-, dove ve lo anticipo sarà difficile rifiatare. L'inserimento dei fiati in C.O.N.F.U.S.E.D. dona quella marcia in più ad un forsennato pezzo ska-core di per sè da top, la contagiosa I'm shaking fa prevedere grande mischia live, tanto è in grado di impadronirsi del centro nervoso, Busted e Whole lot of nothing rincarano la dose con quella rustica aria familiare della casa; l'asciutto carattere delle stilettate Il mostro e Best Fiend giocano al tira e molla, la risoluta Room service torrenziale come i Suicidal Tendencies dell'esordio e l'irresistibile title track Cuenzo Cafe rinnova il patto spettacolare col dialetto locale, complice l'alternanza nel cantato con bro Fido Guido, piegando così il genere a propria somiglianza, generando un immediato classico. A chiudere in acustico Amore e Realtà, dove il nostromo Enrico, col suo ghigno cantato ridendo e fischiettando ci lascia l'amletico dubbio del racconto autobiografico o di fantasia...

13 brani che spintonano e sgomitano facendosi strada nel fare strike, strumenti che dialogano a puntino caricati a palla in un tutt'uno volto a dare forma e sostanza al pensato, fusione di energie corrisposte da restituire sotto forma di emozioni, che la travolgente registrazione frontale -tanto sembra di averceli nella stanza d'ascolto- made in SudEststudio da Fabio Dubio cattura pienamente. Grafica super tanto quanto l'underground team all'opera: artwork invasione dei mutanti di King Rat, disegni interni di Gigio Bonizio (già autore della stupenda copertina di Jonic...), il tutto assemblato da Mr. Porro Dario Ursino. Amo TUTTI i loro dischi (chi più, chi meno) ma stavolta mi sbilancio sicuro nel dire che, con l'arrembante Prigioni (l'album simbolo dell'HC jonico), Cuenzo Cafè tocca il picco della SFC story. Lunga vita!


sfctarantohc91@gmail.com

domenica 24 dicembre 2023

IGNITE Ignite (lp/cd 2022 Century Media)

 


Quando nessuno se l'aspettava più, riemergono dal letargo (studio) i prodi californiani. Nessuno scioglimento, anche se avevamo temuto proprio il contrario: un disco ogni 6 anni potrebbe far cadere nel dimenticatoio innumerevoli nomi (pure avendo dietro un colosso come Century Media), ma la band ci ha abituati alle loro consuete scadenze, considerato che già tra A place called home e il successivo Our darkest days ne erano trascorsi altrettanti, e ben 10 dalla ultima bella botta War Against You del 2016 (giusto inframmezzata solo dal dvd/cd Our Darkest Days live del 2012), che li rimetteva in pista come se il tempo si fosse fermato.

E proprio da quello si riparte con questa nuova sfornata, dal tipico sound arrembante dotato di grinta e credibilità, non poco per un gruppo che calca la scena da 30 anni, per quanto degli originali sia rimasto solo il fido bassista Brett Rasmussen. Sì, perchè il frontman Zoli Teglas, colui che caratterizzava la band con la sua coinvolgente presenza e voce sin -quasi- dalla nascita, con quel suo riconoscibile cantato dal timbro potente ed esteso anche su alte tonalità (qualcosa tra Dexter Holland e Pat Dubar, addizionata di pathos e personale interpretazione), peculiarità che ha contribuito a far appassionare tanti alla band, ha lasciato nel 2020.

Orange County, 1993: in quel terreno fertile nasce la band, il cui core si fonda su ex membri di Unity e giro Uniform Choice, campioni di un certo tipo di hc corroborante, dove la sintesi energia-cervello-positive vibes trovava pronta compiutezza. Le premesse erano delle migliori, infatti la formula viene rinnovata al meglio, associandovi un sentito impegno sociale già avvertibile dai testi, confermato dal supporto concreto sul campo ad associazioni ambientaliste e animaliste. Uno dei punti fondamentali per capire a fondo la band e la sua visione entrando nel giusto spirito e' soffermarsi proprio sui testi, che diventano reale valore aggiunto, antenne sensibili dal pesante investimento emotivo, che colgono nel segno anche questa volta.

Già la copertina mette in chiaro, nella sua semplicità, l'intento dei 5: una loro foto in azione che diventa una forte affermazione di identità, per ripartire con quella convinta fierezza che mai hanno nascosto.

Nonostante l'abbandono del Teglas, il suo sostituto Eli Santana (chitarrista negli Holy Grail) si fa ben apprezzare guidando le sfrenate danze HC proposte in IGNITE, con l'ottima produzione di Cameron Webb (Motorhead, Social Distortion), membro aggiunto vista la presenza dietro al banco mixer dal 2000, che ispessisce -ma meno che nel recente passato- il corpo del loro grintoso HC dal nerbo positive old school, modulato con maestria tramite efficaci melodie che lo rendono sempre interessante. 

Sin dall'opener Anti-complicity anthem veniamo travolti da un'ondata che certo non bissa l'indimenticabile incipit che aveva Our Darkest... (Intro + Bleeding, un must nell'ambito in assoluto, per uno dei migliori dischi HC del nuovo millennio) ma irradia una potente carica che si fa epica, replicata dal selvaggio rinforzo di This Day (patrimonio da ipotetico best of), ma anche le secche sgroppate offerte in On the ropes e State of Wisconsin e l'avvertimento di The house of Burning tengono alto il livello, riuscendo ad incidere anche quando rallentano, dal teso groove di Enemy o assumendo sfumature malinconiche come nella sofferta Let the beggars beg (una gemma da ricordare), per un album che una volta assimilato potrebbe monopolizzare i vostri ascolti, a forza di cantarne gli irresistibili cori magari sotto palco con l'indice puntato al cielo (li ricordo bene nel luglio 2006 al Forte Prenestino!), intesa che proprio in ambito live viene esaltata alla perfezione (gente che, ad eccezione del nuovo chit. Nik Hill, suona assieme da oltre 20 anni). 

11 istantanee (nella versione digipack, con la valida bonus After the flood) che fotografano un mondo difficile, ma senza sentirsi atterriti dinnanzi a cotanto lavoro da svolgere, da intendere come una infuocata marcia costruttiva e di speranza per il prossimo, che si fa veleno verso chi non lo rispetta, approdo inevitabile quando si ha dovuta coscienza della realtà. Potreste obiettare che sa di sentito milioni di volte, che la proposta è cristallizzata da non aggiungere alcuna innovazione, possibile (ma ci interessa in definitiva?), ma la capacità di rendere sempre trascinante ogni sortita senza mai perdere credibilità dimostra la loro bravura, tanto che l'innata -e riconosciuta- carica empatica contagia e si riversa su chi incrocerà la loro strada. Energia -ecologica- da vendere, altro che Enel. A positive rage! 



Dedicato alla memoria del grande amico Jon Bunch (1970-2016), indimenticata voce dei Sense Field e altri.

martedì 19 dicembre 2023

JESSE MALIN

Riesumo un mio report del concerto tenuto da Jesse e ciurma un decennio addietro. Per chi non lo conoscesse, sto parlando di un'istituzione a pieno titolo nell'ambito musicale della sua amatissima NYC (vedasi quanti brani del suo repertorio dedica alla città), decretata da 40 anni di attività: svezzato -appena dodicenne!- negli Heart Attack al basso e voce (guardatelo nel dvd American Hardcore), poi voce nei glam-punx D Generation, grandissimo fan di Clash e Bad Brains (tanto da collaborare, via penna, alla ristampa del catalogo lp dei rastafariani), roadie per glorie locali come i False Prophets, proprietario e gestore del Niagara Club, sodale di Ryan Adams nei The Finger…Un musicista che ama circondarsi di amici, fare jam sessions e duettare con tutti (da Green Day, Lucinda Williams, Alejandro Escovedo a Tommy Stinson, che si è portato in tour qui in Europa a febb/marzo 2023 per il ventennale del solo-debut The Fine art of self destruction, passando per il padrino Springsteen).

Improvvisamente nel maggio scorso il nostro, classe 1968, è stato vittima di un ictus spinale, che gli ha procurato una paralisi dal bacino in giù, situazione che permane ancora nel momento in cui scrivo. Questo vuole essere il mio augurio di buona guarigione, per una persona che ritengo, visto le tante affinità, uno spirito fraterno. Se la musica fa bene a chi la fa ed a chi la ascolta, mi sento in dovere di ringraziarlo per tutti questi anni di piena dedizione alla causa. Forza Jesse!!!

Per contribuire a sostenere le spese mediche visitate il sito Sweet relief Musicians fund: www.sweetrelief.org

JESSE MALIN & ST.MARKS SOCIAL – Teatro Comunale – Dozza (BO) sab. 2/4/2011

Seconda tappa delle 8 previste del tour INVASIONE D’ITALIA (1-9 aprile, organizzato dalla Roots Music Club booking, in esclusiva europea!) per Jesse “P.M.A” Malin ed i suoi ultimi soci, i St. Marks Social (con il veterano Todd “Style” Youth alla chitarra), nella suggestiva cornice del minuscolo Teatro Comunale della incantevole Dozza, entroterra felsineo che decido di visitare per l'esibizione dei nostri (si era parlato pure di un data fiorentina al Glue, proposta ma non realizzata). Apre il cantautore toscano Cesare Carugi, acustica in spalla e voce in solitario, infatuato irrimediabilmente dalla terra americana, tra suoni (riecheggianti il N. Young più rilassato) ed immaginario testuale, che propone pezzi dal suo ep autoprodotto 6 tx Open 24 hours. Il compito era quello di scaldare gli astanti in attesa, ed il nostro ce l’ha messa tutta, confidenziale quel tanto da sembrare una esibizione in famiglia.

Platea che si entusiasma alle 22 quando inizia a ruggire il de-generato figlio della NYC punk. Jesse arriva armato di chitarra, che brandisce orgoglioso, tanto quanto i degni compari che lo accompagnano, nei 20 pezzi snocciolati pescati dai suoi 4 studio lp (ai quali vanno aggiunti, per completezza di discografia, l’album di covers ed un live cd), con prevalenza dall’ultimo riuscito Love it to life (SideOneDummyRecords). 


Un concerto semplicemente r’n’r, sudato a dovere per tutta la sua ora e passa di durata, come ben si conviene a chi ha fatto di quello stile la sua ragione di vita, senza rimpianti e con tante soddisfazioni… così è, se si riesce a dare importanza anche alle più piccole, talvolta decisive, emozioni. Genuina espressione stradaiola, tra dolcezze acustiche ricche di pathos ed elettriche folate di energia: dalle recenti Burning the Bowery, All the way from Moscow e Black Boombox, alle più vecchie Brooklyn, Cigarettes and violets, Wendy, Mona Lisa, Almost Grown passando per In the modern world e Broken Radio (il suo pezzo più noto, grazie al duetto con the Boss Springsteen), senza dimenticare la Bastards of Young dei Replacements (suo pallino dichiarato ed ispirazione, nemmeno così segreta) in versione piano e voce, nella medesima forma apparsa sul precedente platter, l’ottimo Glitter in the Gutter. Una buona panoramica offerta su quanto compone il suo percorso musicale sino ad oggi, peccato solo per qualche omissione, tipo il singolo Don't let them take you down (Beautiful day!)...ce ne faremo una ragione. 


Il centinaio di presenti (pressochè quarantenni) ha reso sold out la data, partecipando e sostenendo la band, che ha ricambiato con un lungo bis, chiudendo sulle travolgenti note della Lennoniana Instant Karma e con il colpo di testa del nostro loquace menestrello, il quale ad un certo punto ha deciso di arrampicarsi sul banco del merchandising e girare la stanza montando sulle sedie dei convenuti (che lo aiuteranno nello sbrogliamento del cavo microfono)…Che dire, impeto e feeling a braccetto, una conferma per il sottoscritto, che ha giudicato il citato Love it to life uno dei dischi preferiti dello scorso 2010 (primo appunto con la nuova backing band, che nulla aggiunge all’economia del Malin sound che non sia già conosciuto, se non un’accentuata, graffiante vena r’n’r), bissando quel Glitter...che lo era stato ai tempi della sua uscita nel 2007. L’update della tradizione cantautorale rock americana, attivata negli ’80, continua a passare attraverso la lezione punk, a rinvigorirla e svecchiarla anche dalla naftalina mainstream…e Jesse Malin ne è parte interessata ed interessante. Di una cosa sono tutti concordi: suona sempre ONESTO. Music makes the world a better place: long live r’n’r


In memoria di Todd "Youth" Schofield (1971-2018)




lunedì 17 luglio 2023

Dischi da rivalutare: T.S.O.L. Disappear – 2001 (cd Nitro)

 


In attesa della imminente calata che li vedrà protagonisti il 28 luglio nella serata d'apertura del bellissimo Distruggi la Bassa fest, voglio parlarvi del loro comeback album in apertura di millennio, ancora a fuoco dopo quasi un quarto di secolo

We generate monsters, we generate victims, we generate islands adrift in a system”

Già questo stralcio di testo da Terrible people basterebbe a definire l'attitudine dell'acronimo più iconico in ambito punk/HC: True Sounds Of Liberty

Ma permettetemi un velocissimo passo indietro, prima di proseguire. Nel 2004 assieme all'amico Enrico SFC ho condotto per una intera stagione il programma Frequenze Liberate (Liberation frequency dei Refused vi dice qualcosa?), grazie all'intercessione di un comune amico tarantino (grande Tanino!) che ci fece approdare a Nova Radio a Firenze. Imbattendomi nell'archivio cd dell'emittente, scopro per puro caso Disappear: mi servivano alcuni pezzi per chiudere la puntata, dato che avanzava minutaggio utile. Lo ascolto mentre lo mando in diretta mettendo primo e ultimo pezzo del cd, pescati a caso: effetto bomba! Rimango stupito dall'esuberanza che emanano i due pezzi, al punto che chiedo di portarlo a casa. Il responsabile dell'archivio mi dice che probabilmente mai era stato passato quindi ben contento di regalarlo a chi poteva apprezzarlo! Anche oggi, a distanza di anni, continuo ad ascoltarlo, e mi ripaga con le stesse sensazioni della prima volta, tanto da parlarne a chi avrà la pazienza di leggere quanto sotto.

I T.S.O.L nascono dall'idea del chitarrista Ron Emory ed il bassista Mike Roche nel 1978, ai quali si uniranno il cantante Jack Grisham e ed il batterista Todd Barnes degli appena discolti Vicious Circle a fine 1979. Da subito l'intesa funzionerà, producendo prima l'esordio omonimo 12"ep T.S.O.L (Posh Boy), selvaggio esempio del brusco carattere e liriche incitanti all'azione -di stampo politico, aderenti a posizioni anarchiche- con un sound all'altezza davvero incendiario (impossibile non esaltarsi con Superficial Love, Properthy is theft, oppure la splendida accoppiata Abolish Government/Silent majority, riprese anche dagli Slayer sul loro ottimo cover-album Undisputed Attitude, che riaccenderà interesse verso l'operato dei nostri), e quel caposaldo del punk/HC -che si è fatto- più scuro (o per molti, il nascente deathrock) che risponde al nome DANCE WITH ME su Frontier. Non dico niente di nuovo affermando che trattasi di una turbolenta doppietta che farà storia, marchiando indelebilmente la scena americana inserendo la band nel gotha degli irrinunciabili nel panorama assoluto di riferimento. 

Tuttora Dance with me gode di un rispetto assoluto da parte di ogni buon amante del più irruente punk/HC che incorpora forti suggestioni gothic, 11 nere gemme dall'avvincente sguardo morboso, imbevute di pericolosa decadenza (ma senza il disperato spleen dei coevi Christian Death): dalla grinta di Sounds of Laughter alle perversa Silent Scream, scabrosi testi horror come nella famigerata Code Blue (più per provocazione che per immersione nel mood della corrente dark, cerone e eyeliner inclusi) o la rabbia di I'm tired of Life, sino alla resa senza speranza della title-track, senza dimenticare una presenza sul palco di quelle significative (risse all'ordine del giorno, con Grisham a sedarle forte della sua mole simil armadio e impavida avventatezza pronto allo scontro, anche quando si presentava indossando una gonna). Pure l'altro capolavoro -sempre su Frontier- dal titolo Only Theatre of Pain, che segna l'esordio dei blasfemi Christian Death avverrà pochi mesi dopo e sempre nei medesimi dintorni (qui ancora con un suono debitore di innegabili radici punk: non a caso alla chitarra troviamo l'ottimo Rikk Agnew, già di fama Adolescents), a conferma che il goth attecchisce bene in California, in compagnia di Super Heroines & 45 Grave (seguiti poi da Burning Image, Pompeii 99, Psi-com giusto per citarne alcuni), adepti che proprio sotto il sole troveranno gole pronte per i loro aguzzi denti.

Dopo aver siglato un accordo con la Alternative Tentacles nel 1982, seguirà il nuovo 7"ep WEATHERED STATUES (con la notevole Man and Machine) e a ruota l'lp BENEATH THE SHADOWS, che si comporteranno altrettanto bene. L'album smorza un pò il tiro tipicamente punk aumentando il tasso oscuro del suono (ma stavolta in senso più psichedelico, dai rimandi Doorsiani), ma quello che perde in irruenza si cerca di compensare in una costruzione dei brani più ambiziosa (non sempre indovinata), arrangiamenti più curati (con inserimento in pianta stabile di piano e tastiere) e slancio rock -quando wave-, come possiamo sentire già dall'opener Soft Focus, nel fascino della strumentale Glass Streets, o nelle più ritmate ed ottime The other side e Wash away. A modo loro, a tratti persino eleganti. 

Dopo l'abbandono del Grisham (la cui particolarità sta anche nel fatto di cambiare nome su ogni disco: Delonge, Greggors, Ladoga, Delauge, Alex Morgon) e del batterista nel 1983 (i quali riappariranno sotto il nome Tender Fury, con alcuni album all'attivo), si avranno altri titoli, allontanandoli però da quanto in tanti avevano amato. 

Ad un certo punto si troveranno due band dal nome T.S.O.L, situazione che scatenò l'inevitabile disputa legale il cui risultato inibirà per un periodo proprio i fondatori dall'uso della sigla, a vantaggio del nuovo cantante Joe Wood (subentrato dall'album del 1984 Change today?, in forza fino agli anni 90, ex cognato proprio di Grisham!), che porterà la band progressivamente verso lidi hard/street r'n'r, perlopiù noti in questa fase quando i Guns n' Roses li citeranno come una delle loro influenze, portandoseli pure in tour. Difatti, se prendete il live album del 1991 uscito per la Triple X, noterete che fu pubblicato con i nomi dei quattro originari componenti, in virtù proprio di quanto detto sopra...per inciso, un disco che funge da greatest hits live, compendio delle epocali creazioni del biennio 81-82.

Comunque, ripresi i diritti della sigla e con 3/4 degli originali (ad eccezione del compianto batterista T. Barnes, deceduto nel 1999, rimpiazzato da Jay O'Brien) riappaiono sulle scene nel 2001, prima con il bel 7" Anticop/White American e poi con questo graffiante DISAPPEAR per la Nitro, etichetta nata nel 1994 (inizialmente solo per pubblicare i Guttermouth) per volere di Dexter Holland, voce degli Offspring, loro dichiarato fan e maggiore sponsor (deciso ad investire una parte della montagna di soldi piovuta dopo il successo planetario della sua band, in una attività parallela in linea col suo primm'ammore), che ce li rende belli scattanti ed in forma. 

A cominciare dalla copertina da B movie, tesa a richiamare in parte quella di Dance..., come a voler suggellare una connessione con lo spirito degli albori (facendo un salto temporale, oso dicendo che questo poteva essere il naturale seguito di quel fantastico lp), si susseguono 12 pezzi che sembrano concepiti negli ’80, ma evitano di suonare datati; diciamo attuali seppur con una registrazione d'antan, per mano del loro storico producer Thom Wilson, con chitarre focose e il recupero di quella sporcizia primigenia, con un cantato talvolta enfatico, al limite della teatralità, pochi orpelli e pezzi brevi dritti al punto per una viscerale mezzora che viene fuori di getto. Passato e presente che si incontrano, mescolano e fecondano a vicenda (con qualche inevitabile autocitazione sparsa) portando ad un risultato da assaporare tutto d'un fiato, che sembra fatto per riconquistare l'intesa tra loro, più che per accontentare i fans (anche se un pensierino alla possibile diffusione su larga scala l'avranno pure fatto, ma dubito potessero piacere agli amanti del neo-punk in voga al tempo).

Meno macabro e più agile (pure nei testi, dai risvolti talvolta amari), dalla sfacciata Sodomy al feroce sarcasmo della sinistra Terrible People, tra una notevole tirata hardcore (In my Head), l'invettiva di AntiCop, una Renounce che ti acchiappa e non ti lascia più (beachpunk a mille!), continuando con la devastata ode di Pyro o il ruggito di Automatic, le più esili Socialite (con una bella tromba finale) e Paranoid invece risentono dell’esperienza più melodica del cantante e chitarrista nei Joykiller (messi su nel 1995 con ex Vandals e Gun Club, con 4 album in score), sino alla scatenata Disappear, che con tutta la sua irresistibile veemenza chiude al meglio un disco che si dimostra convincente e genuinamente passionale. Non paragonabili ai loro terremotanti inizi, per impatto e rilevanza, anche perchè mutato a 360° tutto il contesto (all'epoca i suoni HC punk erano ancora farina freschissima da setacciare) ma la dignità qui è salva, tanto da ravvivarne al meglio la leggenda.

Nel 2003 ci sarà pure un nuovo album di inediti sempre su Nitro, DIVIDED WE STAND, che vi consiglio per un'eventuale acquisto congiunto, fornendo una bella fotografia dei T.S.O.L. fase 3, che tra una reunion e l'altra pubblicheranno anche altri dischi (l'ultimo studio è THE TRIGGER COMPLEX del 2017 su Rise), ma rimanendo perlopiù attivi in versione live. Occasione che si presenterà ormai a giorni, qui da noi per alcune date del loro euro-tour, così da poter saggiare la tenuta di questi indomiti sessantenni. Buon live a tutti!




mercoledì 19 aprile 2023

SUBURBAN NOISE Somewhere between now and forever (lp 2022 Overdrive, Shove, Waterslide)

 


Il 2022 ci ha riservato last minute un inaspettato regalo, ad accrescere la buona annata targata Apulian punk/HC. Stavolta protagonista il redivivo trio emo-core per eccellenza emerso in regione, pugliesi di nascita ma relocated per 2/3 nello stivale da oltre 20 anni, anche se quando si cita la sigla si torna indietro alla seconda metà dei '90, quindi residenza LE. Trovata la quadra logistica, la fattibilità é venuta da sé, seppur a puntate tra 2019 e 2021, faticosi buchi di tempo tenacemente ritagliati che hanno concretizzato il progetto lp che ho tra le mani, reso possibile dalla Overdrive con la collaborazione di Shove e della nipponica Waterslide, presentato ufficialmente live il 29 dicembre scorso in uno splendido concerto rimpatriata a Taranto con i Carne e gli Arsenico. 

E così belli in forma si ripresentano con immutata dedizione alla cronache musicali, anche se due brani qui presenti erano stati editati nel frattempo in un singolo digitale, che mi esaltarono al punto da stalkerizzarli nei mesi a venire. Sì, la colpa di quei brani é stata quella di offrire la perfetta sintesi -affinata- del loro suono: più core in Our simple song e più pop in Ora/Qui, macinati a nastro da chi scrive. Di seguito riporto la recensione che pubblicai su Nikil webzine (agosto 2020):

"Semplicemente una storia umana, fatta di passione, amicizia e altruismo. Questi sono e rimangono i Suburban Noise, terzetto salentino che inaspettatamente, a distanza siderale dall'ultima release in attività (lo split 7” con i concittadini Room 104, estate 2000, anche se l'ultima reale in ordine cronologico è stato il cd El sonido del Suburbio, che riuniva il 7” Sunward, lo split citato ed il mcd Here comes the Sun più bonus live, per la giapponese SP rec nel 2009), tornano a farsi vivi a novembre 2019 con il singolo liquido Here/Now, con l'aiuto della Loyal to Your dreams.

L'idea che sta alla base del disco è venuta spontanea come forma di incoraggiamento e supporto ad un amico comune in difficoltà, Marco Morosini, bassista e seconda voce di Eversor / Miles Apart, autentiche leggende dell'underground nostrano d'esportazione emo-core e confini indie-rock (nonché componente del progetto Sender, e i più recenti Mannaia), che da fine giugno 2019 sta affrontando (e vincendo!) una seria problematica di salute. Ritrovatisi, anche se vivono in tre zone diverse dello stivale, con tutto ciò che ne consegue tra tempo mancante, incastri e logistica, hanno composto di getto questi pezzi, a ricordarci che il fuoco della passione per Luca, Luigi e Stefano non si è mai spento.

Le coordinate sono sempre quelle: HC melodico con una morbida vena emo-pop di sottofondo, suonato con una esaltante foga, memore degli insegnamenti impartiti da Samiam, Lifetime, Sensefield, e appunto, Eversor/Miles, cioè quelle band che dietro un'apparente semplicità di scrittura hanno sempre celato una profondità sentimentale, dote che ha fatto sì rimanessero nel cuore di tanti appassionati sparsi per il globo. E loro si aggiungono alla lista per il sottoscritto, a conferma di quella scintilla che me li ha fatti amare sin dal primo momento (e parlo di ben 23 anni fa, quando ascoltai il secondo demo-poi vinile Sunward).

La registrazione avvenuta in casa SudEStudio è sinonimo di affidabilità (il cui titolare e factotum è proprio il bassista Stefano Manca), a dare quel tocco in più all'insieme: una voce dalla timbrica pulita -ancora magicamente teen!-, una chitarra più sporca che distorta e una scoppiettante, energetica sezione ritmica tessono le due tracce presenti, animate da una -intatta!- grazia melodica, mai piaciona né ruffiana, corredate da testi struggenti, dall'imprinting emozionale, dove l'incontro tra sensibilità e umanità genera un fiume di significative sensazioni...E, credetemi, specie in questo disco, non sono parole di circostanza.

Our simple song è un pezzo veloce decisamente avvincente (la loro vetta assoluta?), che ama la dolcezza senza trascurare l'impatto, una grower song dall'agile sviluppo e dall'intensità parimenti crescente, con quel sing-along finale che potrebbe durare all'infinito senza stancare, e la più pacata elettroacustica Ora Qui, cantata in italiano che, se proprio vogliamo trovare riferimenti, si aggira dalle parti di certi Farside/Solea, a trasmettere altre good vibrations. Due pezzi che si collocano tra i migliori episodi della loro discografia: una festa ascoltarli! 

Come ben sappiamo, una melodia indovinata, un riff, un testo ispirato, una canzone che tocca le giuste corde emotive personali (qualsiasi esse siano) sono in grado di rimetterti in sesto, facendo vivere ed affrontare meglio la quotidianità...Forza Marco!

Un instant record che vi invito caldamente a scoprire: cogli l'attimo, qui ed ora!"


Aggiungiamo a questi due assi, altri 6 a comporre l'album: A poem's line e Inside Out rievocano e riattualizzano la parabola dei migliori Starmarket, con quel feeling che scava e trasporta in un luogo di benessere, replicata dal sommesso respiro di A new day in odore degli amati (primi) Sensefield, quando Aaron si concentra su una linearità di gioco che va e viene con una circolare melodia (con tocchi di piano nella prima parte a puntellare il tratteggio melodico), con i brevi acustici Flying a kite (strumentale) e Lontana la riva ad accompagnarci per mano alla fine dei rispettivi lati del vinile (no cd). Un pieno di carica vitale dispensata in 25 minuti, senza giri a vuoto e teneramente semplici così come traspare dall'artwork adottato e dal booklet, suggestive polaroid di passato-presente-futuro in linea col sobrio carattere dei tre.

8 caldi brani dal vivace romanticismo, che sarà pure fuori stagione ma che continua ad intrigare, rimandando a quel tempo in cui la corrente emo-core da culto cominciava ad affacciarsi come credibile realtà (non ancora intaccata da fama/fame delle classifiche e preso per il culo tra moda e tronfie macchiette, come accadrà sovente nel nuovo millennio, quando perderà progressivamente, con l'incremento del comparto pop, quasi del tutto l'originaria declinazione attitudinale), interessando gusti ed ascolti di molti, rapiti dalla parte più malinconica e introspettiva del suono HC.

Immergetevi in questo viaggio fatto di riflessioni esistenziali open to life, ricordi e/o domande che siano, elementi che nel loro continuo interagire danno un senso a quella fragile costruzione mobile che é l'uomo pensante, con un suono adatto a sorreggerne la sostanza; come sfogliare un diario personale in cui rivedersi, quei piccoli piaceri senza pretese, ma in grado di sopravvivere profondamente al tempo che trascorre.

suburbannoise.bandcamp.com
over-drive.it
watersliderecords.bandcamp.com
shoverec.bandcamp.com




domenica 25 dicembre 2022

STRAIGHT OPPOSITION Path of separation (cd 2022 Time to Kill)

 


Fedeli al motto Educate your mind, tornano gli indomiti abruzzesi che si ri-lanciano a capofitto nell'impresa grazie alla Time to Kill, marchio del ritorno ad un lustro dal precedente The Fury from the Coast. Li accompagna sempre quell'aspra vena specchio del loro essere, offrendo una visione d'insieme che tra testi e musica ingaggiano un massiccio corpo a corpo nelle 13 veloci e compatte fiondate, devote all'old school metallizzato made in NY sull'asse dei più violenti Agnostic Front / Sick of it All / Madball (con qualche azzeccata incursione fuori area, come vedremo), infilando però quel sentire proprio che li smarca dalla ripetizione schematica.

L'incedere furente e cupo rappresenta la caratteristica comune dell'album: si attacca subito con l'assalto all'arma bianca della doppietta Outsider by choice / July 019; si picchia duro con Workstation-Dead box, proseguendo nella mattanza di The next revolution e Delusion of Omnipotence (dal sofferto passo), puntate col sangue agli occhi come in (She's still) Pro choice, Persona (a cui presta voce Davide Shores of Null/Zippo), The secrets of your militance e l'inno No age to xclaim!, mentre si cambia marcia con l'atipica Path of separation, che non è fuorviante dire rifarsi alla scuola alternative/noise 90's (seppur corrosa dal sentimento HC), come si rasenta il death metal nella tumultuosa From the cradle to the grave, con le presenze di Christian Montagna (The Old Blood), Fiore (Fulci) e T.t.K. mastermind Enrico Giannone, sino alla poderosa cadenza della conclusiva No Father's flag.

Sporadici gli appoggi melodici (più che altro vocali, qua e là), break gonfia tensione e ripartenza a iosa, dall'attitudine protesa a mostrare gli acuminati artigli con un notevole impatto frontale, senza che questo mortifichi la fresca scorrevolezza, talvolta latitante in un filone come quello in cui operano. 

Ivan con la sua voce a perdifiato -pura lana vetro- ma intellegibile, chitarra a sferragliare con impeto e sezione ritmica a muraglia precisa nel dare la giusta rapi(dissim)a spinta ai pezzi, stipati in 29 implacabili minuti da ascoltare senza moderazione. 

Un disco intelligente e passionale, coerente con la loro storia, questo della compagine pescarese, che continua a dare tutto negli infuocati live set, rimettendoli back on the map nell'attuale panorama HC, aumentando se possibile il peso specifico direttamente sul campo, italiano ed europeo.

Non è affatto la visione degli incattiviti dalla vita, ma al contrario, prerogativa di chi ritiene centrale l'umanità senza sconti nè demeriti, che si pone l'obiettivo di concretizzare la logica del passo avanti in termini di rapporti, personali e sociali (anche a costo di di scontentare il vicinato), inequivocabili nel proprio serrato punto di vista, che diventa rivendicazione politica. Questo è l'HC, prendere o lasciare, intrepida filosofia pratica che da sempre anima i nostri. I see red: no age to xclaim! E con un monicker del genere, vi aspettavate altro?


straightopposition.bandcamp.com